L’autonomia differenziata vale più del Pnrr

· 22 Ottobre 2024


Nella nostra rubrica “Regioniamoci sopra”, che si occupa di autonomia differenziata, Giuliano Zulin spiega i dati di uno studio del 2015 dal titolo ‘Sussidiarietà e… spesa pubblica’ a cura di Gianmaria Martini, targato Fondazione Sussidiarietà e Università degli Studi di Bergamo. Si tratta dell’analisi della spesa pubblica dal 1995 al 2013 in 30 Paesi europei, analizzandone le modalità, ovvero se con metodo centrale o se attraverso gli enti locali. In primis le Regioni.

Dall’analisi è emerso che “un aumento del 10% nel grado di sussidiarietà verticale nella spesa pubblica (a saldi invariati) porta a un aumento annuale del PIL pro-capite di +0,64%. È un risultato da prendere in considerazione, in linea con quello di Davoodi e Zou (1998, la loro stima era 0,7%-0,8%) e di Iimi (2005, +0,6%) e superiore alle stime di Thiessen (2003, +0,12%). Questo implica che l’aumento del grado di sussidiarietà verticale nella spesa pubblica, mantenendo i saldi invariati (quindi senza effetti negativi sul debito pubblico, ma spostando il controllo nelle decisioni di spesa verso gli enti territoriali) agisce come stimolo alla crescita. Per i Paesi europei, che, da alcuni anni, soffrono per livelli di crescita bassi, e in particolare per l’Italia, è un fattore da prendere in considerazione.

Entrando nel dettaglio, si legge nella ricerca “il PIL reale pro-capite medio tra i trenta Paesi esaminati è pari a 21.330 euro. L’aumento del PIL pro-capite per effetto dello stimolo alla crescita derivante da un incremento del 10% nel grado di sussidiarietà verticale è dello 0,64%, che corrisponde a + 134,38 euro in un anno. Per una famiglia di 4 persone, corrisponde a un incremento di reddito di 537 euro circa. Per l’Italia, la stessa simulazione comporta, per una famiglia di 4 persone, un aumento di reddito di circa 570 euro annuali, che corrispondono a un aumento mensile di circa 50 euro…”. Ora, il Pil pro capite reale in Italia è di 29.959 euro. Per cui, ipotizzando un +0,64% annuale con un decentramento del 10% della spesa pubblica, si avrebbero +191,7 euro pro capite all’anno. Una famiglia di 4 persone, per tanto, beneficerebbe di 777 euro in più ogni 12 mesi.

Tutto questo avrebbe ovviamente implicazioni anche sui conti pubblici, dati che le regole europee puntano sempre il loro faro non sul disavanzo grezzo, ma in rapporto al Pil. Pil che sta crescendo soprattutto grazie al Pnrr. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio il valore aggiunto del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza nel 2021 è stato pari a 0,2 punti percentuali, nel 2022 di 0,1 punti e nel 2023 di 0,4 punti. Nel triennio successivo il contributo dovrebbe aumentare, ha evidenziato l’Upb, dato che la spesa delle risorse del Pnrr si concentra in questo periodo: nel 2024 il contributo al Pil è pari a 0,9 punti percentuali, nel 2025 a un punto percentuale e nel 2026 a 0,8 punti. Complessivamente l’effetto Pnrr dovrebbe valere un +3,4% di Pil in 6 anni, ovvero +0,56% l’anno. Un decentramento a livello locale della spesa pubblica, ottenibile con una spinta al regionalismo prevista nella Costituzione, smuoverebbe invece un +3,84% sempre in sei anni, in base ai precisi calcoli matematici effettuati nello studio della Fondazione Sussidiarietà. In poche parole: l’autonomia differenziata può creare più crescita del Pnrr.


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