Europa e sinistra contro la polizia: non provateci
Giovanni Sallusti · 22 Ottobre 2024
Cari ascoltatori, oggi senza alcuna timidezza prediamo le parti dell’essere forse più bistrattato, più detestato dal mainstream italiano e, abbiamo appena scoperto, anche all’estero: l’esponente delle forze dell’ordine, l’agente in divisa. Per questo ricordiamo la prepotente attualità dei versi di Pierpaolo Pasolini, che all’indomani degli scontri di Valle Giulia prese una posizione netta, esistenziale, quasi pre-razionale, di vicinanza ai poliziotti oggetto della sassaiola degli studenti figli di papà.
Quella poesia strepitosa, la cui rilettura è sempre utilissima, definiva lo stato psicologico cui sono ridotti gli agenti, “senza più sorriso, / senza più amicizia col mondo, / separati, / esclusi (in una esclusione che non ha uguali); / umiliati dalla perdita della qualità di uomini / per quella di poliziotti”. Decenni dopo va in scena lo stesso schema ideologico e d’odio. Oggi abbiamo due casi di cronaca che lo dimostrano.
Il primo caso è l’indecorosa cagnara di Verona: un poliziotto ha estratto l’arma da fuoco e ha sparato a un uomo, uccidendolo, il 26enne del Mali Diarra Moussa, che lo aveva assalito armato di coltello. Ora il poliziotto è indagato per eccesso di legittima difesa, atto dovuto a legislazione vigente. Ma non è uno spettacolo edificante vedere sotto indagine un poliziotto che si difende da un delinquente armato di coltello. E ancora meno lo è la cagnara che le istituzioni veronesi (governa il centro-sinistra) stanno mettendo in scena.
Vari assessori della giunta di Damiano Tommasi se ne sono usciti con perle tipo quella di Jacopo Buffolo, che ha la delega alle politiche giovanili: “A un bisogno d’aiuto si è risposto a colpi di pistola”. Oppure quella della sua collega alla sicurezza, Stefania Zivelonghi, che ha detto seriamente che “per natura e configurazione la zona della stazione rimane un luogo con un rischio fisiologico”. Ora, nella fattispecie la richiesta d’aiuto era un’aggressione con un coltello, e non è affatto fisiologico che in una qualunque stazione si possa essere accoltellati, se non nella fantasia di questi assessori. Fatto sta che molti hanno deposto fiori dove è mancata questa persona, ma verso il poliziotto che ha subito l’aggressione e si è trovato in questa circostanza tragica l’empatia è rimasta a zero, anzi è anche sotto indagine.
La seconda notizia, per certi versi ancora più clamorosa, viene appunto da fuori Italia: una denuncia dell’Ecri, l’organo antirazzismo e anti-intolleranza del Consiglio d’Europa, che sostanzialmente dà dei biechi razzisti ai nostri poliziotti e alle nostre forze dell’ordine, li dipinge come se fossero una sezione del Ku Klux Klan. In questo rapporto si sostiene che le forze dell’ordine italiane effettuano la profilazione razziale, soprattutto sulla comunità rom e sulle persone di origine africana. Ma come: proprio le nostre forze dell’ordine, che hanno le regole di ingaggio più strette, che mostrano le accortezze maggiori prima di arrivare a forme di difesa o di pressione estrema, che vengono messe sotto inchiesta ogni volta che si muovono. Si cita anche il fatto che le borseggiatrici rom sarebbero più attenzionate di altre, come se fosse colpa dei poliziotti se ci sono più borseggiatrici rom che borseggiatrici brianzole.
Questa commissione è un organo del Consiglio d’Europa, che è un’istituzione europea extra-Ue nata per tutelare i diritti dell’uomo, della democrazia parlamentare e il primato del diritto sul continente europeo. Ma allora, invece di occuparsi dei nostri poliziotti – i quali, pur bistrattati, detestati, in condizioni difficilissime, ogni giorno difendono la trincea del diritto – non potrebbe darsi da fare in quelle zone d’Europa in cui vige la sharia di fatto, per esempio nel Regno Unito, nelle periferie francesi, in alcune comunità islamiche in Italia dove ogni diritto umano, in primis della donna, è stracciato? Ecco: se proprio ci si vuole pronunciare, lo si faccia sull’abominio della sharia in Europa. E per favore lascino stare i nostri poliziotti.