Da 30 anni danno l’assalto giudiziario al centrodestra

· 21 Ottobre 2024


Cari ascoltatori, il taroccamento sistematico della realtà, il rovesciamento dei fatti con implicita presa in giro: questo significa l’allarme che imperversa sui giornaloni e sul web su un attacco della politica alla magistratura che sarebbe in atto in questo Paese. È tutto uno strillare del mainstream per l’indipendenza dei magistrati: dai cantautori in disarmo improvvisamente rianimati, come Roberto Vecchioni su La7 (proprio l’autore di “Signor giudice”, che quando gli toccò esser coinvolto dalla macchina della giustizia in un fatterello di nessuna importanza cantò una diversa idea del magistrato), agli editorialisti, giornalisti “embedded” con il circo mediatico-giudiziario, da Massimo Giannini in giù; ma anche ai commentatori generalmente con i piedi più ancorati nella realtà, pensiamo a Goffredo Buccini del Corriere della Sera, che dà del fascista a chiunque azzardi dire che non è sano che la magistratura ribalti sistematicamente provvedimenti sui quali il governo ha ottenuto il mandato elettorale.

Ci tocca quindi ripercorrere brevemente l’essenza di 30 anni di storia politico-giudiziaria italiana. Quando Silvio Berlusconi, nel 1994, diede il via alla nascita della Seconda Repubblica con l’intuizione del centrodestra, sconquassò molti piani (forse anche quelli di alcuni protagonisti di Mani Pulite): spariti i partiti moderati, atlantisti, liberali, sembrava si fosse aperta un’autostrada per gli eredi della storia comunista, e invece questo imprenditore milanese si inventò una politica nuova. Antonio Di Pietro, mentre il pool faceva partire i primi procedimenti contro Berlusconi, se ne uscì con l’immortale virgolettato “Io quello lo sfascio”: questo era l’approccio di certa magistratura, non esattamente garantista.

Ne seguì un calvario di 32 processi, con un enorme dispiegamento di forze, fra intercettazioni, apparati, risorse umane e tecnologiche, per non dire dei più fantasiosi capi d’accusa: associazione mafiosa, tangenti, traffico di droga, stragi. Il risultato fu di una condanna su 32 procedimenti, fra l’altro molto anomala: una frode fiscale per una cifra irrilevante rispetto alla sua capacità contributiva, dopo una frettolosa convocazione del collegio, facendo valere il principio “non poteva non sapere” perché era il proprietario dell’azienda, principio che non era mai valso per Agnelli, né per De Benedetti.

È successo non diversamente a Matteo Salvini, come abbiamo appreso dalle rivelazioni del libro di Luca Palamara scritte con il direttore del Giornale: quando era ministro dell’Interno dell’esecutivo gialloverde e applicava la politica dei porti chiusi, stabilita nel contratto di governo, fu messo nel mirino, tanto che un magistrato scrisse a Palamara (che allora era nel Csm): “A me sembra che Salvini abbia ragione, sta tentando di arginare l’immigrazione clandestina”. Palamara rispose sì, “ma in questo momento dobbiamo attaccarlo”. Si chiarì così un ruolo di opposizione politica che generò, a cascata, il processo Open Arms, per il quale Salvini deve rispondere della linea politica adottata in termini di immigrazione, linea peraltro ormai adottata dai governi di gran parte del continente, senza distinzione di colore politico. Salvini oggi rischia 6 anni, una pena che in questo Paese raramente danno agli stupratori.

Non solo: la giudice che ha smontato l’accordo Italia-Albania sugli immigrati è la presidente di Magistratura democratica, e oggi è emersa una mail in cui un esponente della medesima corrente definisce Giorgia Meloni più pericolosa di Berlusconi, invitando quindi a porre rimedio. La premier italiana è anche lei chiaramente nel mirino.

È da 30 anni che il rapporto tra parte dell’apparato giudiziario e la coalizione politica di centrodestra è anomalo, e lo è per responsabilità del primo. Quella del centrodestra è, al massimo, di non aver completato una riforma della giustizia. Ci auguriamo avvenga presto.


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