Bruciare i libri non serve più, bastano i perbenisti
Alessandro Gnocchi · 13 Ottobre 2024
In questa puntata della nostra rubrica “Alta tiratura”, Alessandro Gnocchi prende in esame come la censura culturale e in particolare sui libri non abbia più bisogno del fuoco, come accadeva ai tempi del nazismo: oggi bastano cancel culture e politicamente corretto.
Gnocchi prende in esame un saggio di Fabio Stassi, “Bebelplatz” (Sellerio, 321 pagine, 16 euro). Bebelplatz è la piazza al centro di Berlino dove al rogo dei libri del 10 maggio 1933 (10mila titoli in tutto) partecipò attivamente anche Goebbels, che fece un piccolo discorso sopra un tavolo di legno, in piedi, dal quale indicava quali titoli i nazisti avrebbero gettato tra le fiamme. Questo fenomeno, al contrario di quel che comunemente si crede, andò in crescendo e continuò fino alla fine della guerra. Fra gli scrittori, cinque furono gli italiani finiti nel mirino dei nazisti: Giuseppe Antonio Borgese, Emilio Salgari, Maria Volpi “Mura”, Ignazio Silone e Pietro Aretino.
Naturalmente il rogo dei libri non l’hanno inventato i nazisti, i libri si sono sempre bruciati: Stassi ricorda il rogo della biblioteca di Tebe, del 1358 avanti Cristo, opera del faraone Akhenaton. E quello del 213 avanti Cristo, avvenuto in Cina sotto la dinastia Qin, che fu particolare, perché l’imperatore decise di bruciare qualunque libro fosse antecedente alla sua nascita. Come se i libri del passato giudicassero anche il presente: l’imperatore non voleva essere giudicato e quindi fece sparire tutti i libri che erano stati scritti prima del suo avvento al potere.
Il Pen Club, un’organizzazione mondiale nata dagli scrittori per tutelare la libertà di espressione, ha stilato un rapporto che dimostra che i roghi oggi non sono più necessari. Il dossier mostra come negli Stati Uniti ci sia un aumento incredibile della censura, di libri che non possono essere letti a scuola. Tre Stati hanno una legislazione apposita per far sparire i libri dalle biblioteche scolastiche: Iowa, Wisconsin e Florida: fra le vittime, George Orwell, Stephen King, Margaret Atwood, John Grisham, e una quantità di altri classici.
Questo perché, spiega il rapporto, da un lato ci sono i sostenitori del politicamente corretto che vogliono censurare i libri che contengono parole che richiamano la discriminazione razziale o sessuale, che criticano il multiculturalismo e così via. Dall’altra parte c’è l’esercito dei perbenisti, che peraltro è sempre esistito, che vuole censurare libri che invece portano avanti le teorie del gender o il multiculturalismo. Di conseguenza, praticamente viene censurata una cosa e il suo contrario. Alla fine, le vittime di questo processo sono gli studenti, cui viene sottratto non solo il libro politico da meditare, ma perfino il semplice intrattenimento.