Le ultime cartucce di Kamala: Vogue e Obama
Giovanni Sallusti · 12 Ottobre 2024
Cari ascoltatori, vediamo che Vogue dedica una copertina patinata e bellissima a Kamala Harris, e da questo si capisce che la candidata democratica ha un po’ meno il vento in poppa di quanto dicano i nostri giornaloni, i quali infatti citano il solo dato del voto popolare, la somma del voto nazionale. Peccato che nelle elezioni americane questo dato conti poco o niente, perché essendo gli Stati Uniti una Repubblica federale autentica, quello che conta è il voto negli Stati, grazie a un meccanismo elettorale che tutela la pluralità e impedisce che gli Stati grandi cannibalizzino gli Stati piccoli. Per questo tutto si gioca soprattutto nei cosiddetti stati ballerini, cioè quelli in bilico fra i due candidati.
Ed è infatti negli Stati ballerini che la situazione per Kamala Harris non è così rosea, stando agli istituti di sondaggio, perché Trump manterrebbe il vantaggio che ha già in alcuni di essi, l’Arizona, il Nevada, e sembrerebbe seriamente in grado di ribaltare il risicato vantaggio di Harris in alcuni Stati della Rust Belt industriale o deindustrializzata, oggi molto sensibile al messaggio economico di Trump: contrastare la concorrenza sleale cinese, che ha causato la deindustrializzazione americana, abbattere le tasse e incentivare il lavoro. Pare che per questo Michigan e Pennsylvania si stiano avvicinando a Trump, e questo potrebbe garantirgli la vittoria.
Di conseguenza, è scattato l’allarme fra le élite costiere e patinate, campo d’influenza di Oprah Winfrey e simili, ma dubitiamo che la copertina di lusso di Vogue e lo slogan “La candidata per i nostri tempi” (in contrapposizione con il vecchiaccio maschio bianco reazionario, Trump) possano spostare i voti della classe operaia del Midwest. Di sicuro la nuova versione di Kamala vuol essere rassicurante: “Non si potrà mai avere un accordo completo su tutte le questioni, ma si può trovare un terreno comune e ampliare quello”. Un’immagine difficile da vendere, perché Kamala ha un passato radical e la sua vicepresidenza è stata caratterizzata dall’inefficacia politica, per esempio il colabrodo dei confini con il Messico.
La preoccupazione è tale che è intervenuto perfino Barack Obama, il punto di riferimento woke per eccellenza, che parlando a Pittsburgh ha strigliato l’elettorato democratico, soprattutto quello nero: ha lamentato di non vedere la stessa partecipazione di quando si candidò lui. Poi ha suonato i tasti tipici: Kamala va votata perché è donna, perché è di colore, per combattere il bieco reazionario, è allarme misoginia. E i giornaloni italiani, ovviamente, dietro.
“Mi sto rivolgendo direttamente agli uomini, che semplicemente pare non vi piaccia l’idea di avere una donna come presidente. State pensando di chiamarvi fuori o di sostenere qualcuno che ha un passato di denigrazione, perché pensate sia un segno di forza, perché questo che significherebbe essere un uomo, sminuire le donne, non è accettabile”. Obama, che sa fare le campagne elettorali, prescinde dai contenuti perché ha capito che l’unico plus comunicabile di Kamala è la sua figurina. In sostanza Barack dice: la dovete votare perché se votate Trump siete dei biechi maschilisti, anzi, implicitamente, dei razzisti.
Se i meriti di Kamala, come dice chiaramente il suo sponsor nonché star del wokismo, sono solo di essere donna e di essere di colore, sospettiamo che la candidata dem non convincerà la classe lavoratrice americana degli stati ballerini, anzi, semmai la sta spingendo verso Donald.