L’ultima chiamata per l’Occidente si chiama Trump

· 25 Settembre 2024


Cari ascoltatori, se prestate attenzione alla cronaca attuale e risalite con la memoria a settimane, mesi e anche anni passati, non vi sfuggirà che chiunque tenga alla pace e alla salvaguardia del mondo libero non può che tifare per il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.

Questa riflessione, badate, travalica il personaggio Trump, la sua traiettoria personale, quella imprenditoriale, le sue sbavature linguistiche e le sue eccentricità rispetto al canone politico americano: e il motivo per cui è indispensabile ripulire il nostro giudizio da tutte queste frattaglie mainstream è che bisogna andare al sodo, perché gli scenari di crisi geopolitica e bellica si stanno aggravando. Il Medio Oriente è in bilico sulla guerra totale tra Israele e Hezbollah, partito di Allah e gruppo terrorista creato dall’ayatollah Khomeini con la missione di cancellare Israele dalla faccia della terra. Non c’è equivalenza fra le parti in causa, checché ne scrivano i giornaloni.

Donald Trump è il presidente americano che in tempi odierni ha di gran lunga tutelato Israele più di ogni altro, che ha fatto l’atto simbolico (i simboli sono importanti) di trasferire a Gerusalemme l’ambasciata americana in Israele e ha contrastato e interrotto la follia dell’accordo sul nucleare con l’Iran, il Paese che ha architettato 7 ottobre (Joe Biden si è svegliato giusto ieri, nel suo ultimo discorso all’Onu, per dire che l’Iran non dovrà mai avere la bomba atomica). Donald Trump è anche l’autore del capolavoro diplomatico degli accordi di Abramo, che non sono saltati neppure dopo il 7 ottobre: un patto esplicito di collaborazione strategica e commerciale tra Israele ed alcuni Stati arabi del Golfo, che è anche un patto implicito con l’Arabia Saudita. Il risultato è che tutti questi Paesi musulmani sunniti oggi non stanno incendiando la retorica anti israeliana e anti ebraica, non rispondono alla chiamata alle armi dell’Islam contro l’entità sionista; anzi, sotto sotto sperano che sia Israele a farla finita con quest’asse della resistenza sciita, cioè l’Iran e i suoi burattini, il gruppo Houthi, i terroristi di Hezbollah e le belve di Hamas. Addirittura è in atto una collaborazione: quando Israele è stato attaccato da missili e droni iraniani, i sauditi hanno messo a disposizione la loro intelligence.

Dobbiamo tenere a mente che le crisi mediorientali ci riguardano sempre, perché quello è il calderone che anticipa le tensioni globali e Israele è la prima trincea dell’Occidente. Che Trump torni alla Casa bianca conviene a tutti, anche tendendo conto dei confini europei a est, del fronte russo-ucraino. Con la sua verve eccentrica, se volete con semplificazione elettorale, ha garantito che farà finire subito questa guerra: subito non sarà, ma intanto è un dato vero che durante i suoi quattro anni di presidenza Vladimir Putin non ha mosso un carro armato, non ha invaso un Paese, non ha aggredito nessuno. Che cosa intende Trump quando fa questa promessa? Dobbiamo spingerci al di là dalla retorica mainstream che lo ha accusato di essere amico di Putin, perché i fatti hanno dimostrato che è falsa. Piuttosto, la sua politica durante il primo mandato è stata di negoziare con chiunque, ma facendo pesare la forza della deterrenza americana, e questo sistema ha tenuto calme tutte le varie canaglie globali. Pensiamo che sia nell’interesse anzitutto dell’Ucraina che vada così, che si arrivi a una soluzione negoziale che impedisca a Putin di prendere altre folli iniziative. Per questo crediamo che se c’è una possibilità di fermare questi conflitti, l’uno che cerca di minare l’identità occidentale, l’altro che preme ai confini europei, la miglior carta che abbiamo da giocare oggi si chiama Donald Trump.


Opinione dei lettori

Commenta

La tua email non sarà pubblica. I campi richiesti sono contrassegnati con *




Radio Libertà

Background