Da quando Tajani è diventato De Luca?
Giovanni Sallusti · 19 Settembre 2024
Cari ascoltatori, abbiamo una domanda che ci assilla, quasi un enigma pirandelliano. Quand’è accaduto, esattamente, che Antonio Tajani si è trasformato in Vincenzo De Luca? Oggi il Corriere della Sera ha riportato la notizia che il ministro degli Esteri ha inviato in via riservata al ministro delle Riforme Roberto Calderoli una missiva, nella quale esprime fortissime perplessità sull’autonomia differenziata, cioè su una riforma radicata nella storia valoriale, politica e programmatica del centro-destra, Forza Italia compresa. La riforma dell’autonomia differenziata, fra l’altro, è il frutto di un’interlocuzione nella maggioranza, di una serie di compromessi fisiologici che sono, anche questi, parte della materia di cui è fatta la politica: il che significa che non si tratta di qualcosa calato improvvisamente dall’alto sulla testa di Tajani e di Forza Italia.
E invece, in questa lettera che pare inizi con un “Caro Roberto”, sono elencati una serie di punti che sembrano scritti da Vincenzo De Luca, e lo diciamo senza polemica. Tajani, per esempio, ritiene problematico separare le materie non Lep da quelle Lep: ricordiamo molte materie richiedono il soddisfacimento dei “livelli essenziali di prestazione”, e questo accade perché, questa è la nostra lettura, i danni del centralismo sono talmente radicati che è necessario introdurre meccanismi perequativi, individuare standard minimi per tutto il Paese. E guarda caso, sono proprio i livelli che il centralismo non ha mai garantito.
Altre materie non secondarie – il commercio con l’estero, i rapporti con l’Unione Europea, la protezione civile, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario – non richiedono questi meccanismi e quindi potrebbero essere approvate abbastanza in fretta. Per esempio, il governatore del Veneto Luca Zaia le ha chieste tutte. Pare però che per Tajani anche questo passaggio non si possa fare, perché a suo avviso con questa separazione “si raddoppia il numero delle intese, con un aggravio di lavoro per il governo e per il Parlamento, la cui agenda è già densa di priorità”. Tajani teme insomma che i parlamentari debbano lavorare troppo e sostiene che ci siano altre priorità rispetto a una misura fondamentale che è nel programma del centrodestra.
Aggiunge poi, il ministro degli Esteri, che «talune richieste fuoriescono dal perimetro del secondo comma dell’articolo 116 della Costituzione»: ricordiamo che l’articolo 116 è la leva della riforma dell’autonomia, quindi abbiamo l’impressione che si tratti di tecnicismi più che di sostanza. Dopodiché, afferma sempre Tajani, c’è una terza fonte di osservazioni, esprime “una forte cautela sui rapporti con l’Unione europea: la partecipazione delle Regioni nella definizione e attuazione della legislazione europea è ben codificata sia nel diritto nazionale che in quello europeo. Al Consiglio dell’Ue partecipano gli Stati e sono gli Stati a rispondere delle violazioni del diritto europeo”.
Sembra chiaro che secondo Tajani esiste già uno status quo che funziona ed è meglio non pretendere di più, e continuare a reiterare questa situazione per cui si tengono imbrigliate regioni – tipo Lombardia o Veneto – che se liberate da lacci e lacciuoli potrebbero bagnare il naso a regioni come la Baviera e trainare con sé tutto il Paese.
Ma la cosa che ci ha stupito di più è la seguente annotazione di Tajani presente nella lettera riportata dal Corriere: “Non vedo margini di mediazione”. Ma perché mai? Con questa frase il ministro degli Esteri scavalca De Luca in deluchismo, in anti-autonomismo, in fondamentalismo centralista. Scrivere una cosa simile al ministro delle Riforme impegnato a implementare una riforma che è nel programma del centrodestra e nella storia del centrodestra, a nostro giudizio si spiega solo con un improvviso cambio d’identità.