Ecco i quaquaraquà che hanno tradito Salvini
Giovanni Sallusti · 16 Settembre 2024
Cari ascoltatori, scriveva Leonardo Sciascia: “Quella che diciamo l’umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà”. Ecco, sulla vicenda Open Arms, sulla folle richiesta della Procura di Palermo di sei anni di carcere per il ministro Salvini, quanti quaquaraquà stiamo vedendo?
I più clamorosi e tragicomici sono i quaquaraquà a 5 stelle, che all’epoca dei fatti contestati condividevano il governo con la Lega: era stato faticosamente costruito un programma di governo tra diversi, frutto di settimane di confronto, quindi sapevano perfettamente qual era la linea della Lega sull’immigrazione, l’avevano condivisa e controfirmata, ma soprattutto si vantavano in pubblico dell’efficacia dei provvedimenti sui porti chiusi, sul contrasto all’immigrazione clandestina, promossi dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. In pratica facevano i bulli sfoggiando meriti altrui.
Uno dei quaquaraquà più eclatanti era l’allora ministro dei Trasporti e delle infrastrutture, Danilo Toninelli, gaffeur ineguagliabile. Ospite ad “Accordi e disaccordi” il 12 aprile 2019, Toninelli non solo dichiarò di condividere le azioni di governo di Salvini, ma ne avocò a sé il merito, sostenne che senza di lui Salvini non avrebbe potuto fare niente. Toninelli ribadì il medesimo concetto ad Agorà poche settimane dopo, il 18 maggio 2019, aggiungendo anche Giuseppe Conte fra gli attori delle politiche che avevano portato a diminuire enormemente gli sbarchi.
Insomma, i 5 Stelle si intestavano, anche legittimamente seppur con i loro tipici toni sguaiati, i risultati ottenuti dall’allora ministro dell’Interno. Non possiamo archiviare questi fatti come un caso di vaudeville, perché l’allora premier Conte si faceva fotografare ridente con il cartello “Decreto Salvini” e, a proposito di sicurezza e immigrazione, il 30 giugno 2019, parlando con i cronisti politici a Bruxelles, affermò che quello della Sea Watch e di Carola Rackete era stato “un ricatto politico sulla pelle di 40 persone”; d’altronde, il 5 giugno 2018, illustrando le linee programmatiche del governo in aula al Senato, Conte aveva dichiarato: “Metteremo fine al business dell’immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà”.
Lo stesso fece Luigi Di Maio, che recitava la parte del grillino democristiano: il 5 luglio 2019 si scagliò contro le ong incoscenti, che “hanno trovato il loro palcoscenico, vanno nelle acque libiche, prendono le persone, vengono in Italia e iniziano a fare lo show”. Era una gara a chi esibiva la comunicazione più performante: tutti questi ipocriti erano più salviniani di Salvini. Alessandro Di Battista, allora il duro e puro del Movimento 5 Stelle, il 5 luglio 2019 disse, sprezzante: “Sono annoiato dalle Ong. Un Paese deve difendere i propri confini, capisco quindi quello che il governo sta facendo. Sia noi che la Lega intendiamo impedire questo mercimonio della sofferenza”.
Vedete che indicibile banda di quaquarquà? Molti di questi, quelli che erano allora ministri, hanno testimoniato nel processo Open Arms sostenendo che era stata tutta farina del sacco di Salvini, e che loro in quei giorni avevano avuto anche grossi problemi di coscienza. Ma quali problemi? Andavano ovunque, in tivù, sui social, appena vedevano un microfono si intestavano i risultati di Salvini! È pur vero che la politica induce spesso a rinunciare al principio di non contraddizione, ma uno sfoggio di ipocrisia e di vigliaccheria anche umana, prepolitica, di queste dimensioni, francamente non l’avevo mai visto.