“M.” è un fumetto Marvel. Ma Scurati si spaventa

· 7 Settembre 2024


In questa nuova puntata di “Alta tiratura” Alessandro Gnocchi racconta dal vivo il Festival di Venezia, a partire da una serie di aneddoti sui personaggi da red carpet, alle recensioni dei film più notevoli, fino alla presentazione della serie tv in otto puntate “M., il figlio del secolo” , dedicata a Benito Mussolini e tratta dai romanzi di Antonio Scurati. 

È già notevole osservare che lo scrittore alla conferenza stampa si è presentato con una maglietta nera e ha tenuto un minicomizio in cui ha voluto precisare che il fascismo è ancora tra noi e che di certo lui non è fascista, né lo sono i suoi libri, e non è intenzione della serie riportare in auge questa idea criminale. Il fatto è che nessuno glielo aveva chiesto, né lo aveva accusato di alcunché, dalla qual cosa si evince che Scurati covava una certa preoccupazione.

Perché? Perché, spiega Gnocchi, la serie, per come è stata prodotta, sembra attribuire a Mussolini uno strano fascino, il fascino dei grandi cattivi: il duce, che dovrebbe essere rappresentato con il rigore di un personaggio storico, somiglia più che altro al Joker di Batman, protagonista del film in cartellone il giorno prima. In pratica Mussolini è un malvagio a tutto tondo e tutta la serie è una sorta di lungo fumetto in pieno stile Marvel di cui Mussolini è, appunto, il “villain”, il supercattivo. I riferimenti alle serie americane sono diversi: una evidente è il parlare in camera per spiegare i motivi reconditi che stanno dietro le decisioni del Duce, copiata integralmente da House of Cards, la serie sulla Casa Bianca con protagonista Kevin Spacey spietato vicepresidente.

“M.”, dunque, è un prodotto di intrattenimento, anche ben fatto, che ha il legittimo scopo di arrivare a una terza serie e di far guadagnare un sacco di soldi a chi l’ha prodotto, che è un obiettivo assolutamente legittimo per chiunque si misuri con il mercato del cinema. Per questo risulta un po’ spiacevole il tentativo di attribuire a questa operazione palesemente commerciale un valore di testimonianza sul fascismo e sulla resistenza al fascismo. A Gnocchi non sembra che venga spiegato il fascismo, né che la serie possa essere interpretata come manifesto dell’antifascismo, peraltro in assenza di fascismo: “Provate a pensarci, è lo stesso fatto che questa serie sia stata presentata in una cornice istituzionale come la mostra del cinema che dipende dalla Biennale, a testimoniare che di fascismo in Italia tutto sommato non deve essercene tanto. Fare gli antifascisti in assenza di fascismo è un po’ comodo e inoltre butta indietro la discussione politica di parecchi decenni”.

Chiudiamo con una piccola bibliografia, descritta da Gnocchi, per rivedere gli anni del fascismo alla luce di letture non banali: Italo Calvino, “Ultimo viene il corvo” e “Il sentiero dei nidi di ragno”; Giuseppe Berto, “Guerra in camicia nera”. E soprattutto: Carlo Mazzantini, “A cercar la bella morte” e Giose Rimanelli, “Tiro al piccione”.


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