Te pareva: su Sangiuliano tirano fuori il fascismo

· 6 Settembre 2024


Cari ascoltatori, in questi giorni sul caso Sangiuliano (che ha presentato le proprie “dimissioni irrevocabili” in una lettera alla premier Meloni) ne abbiamo sentite di tutte: ogni tipo di analisi storica, psicologica, matrimoniale, paramatrimoniale, antropologica. Fino a che Repubblica è arrivata in vetta, a scomodare il fascismo. A piantare la bandierina è stato il collega Stefano Cappellini, inviato alla mostra del cinema di Venezia, nei cui articoli il cinema si trova solitamente nelle prime due righe, per poi lasciare briglie libere a tirate antifasciste in assenza di fascismo.

Ieri a Venezia era il giorno di “M., il figlio del secolo”, la serie tv tratta dall’opera di Antonio Scurati, l’unico caso di scrittore che si è dichiarato censurato mentre il presidente del Consiglio del suo Paese condivideva il testo “censurato” sulle sue pagine social. Cappellini nella consueta lenzuolata su Repubblica non ha scritto quasi nulla sull’opera in sé, ma si è dedicato a cucire analogie con il presente: siamo stati dunque edotti che il fascismo è intorno a noi, che sta usando gli stessi argomenti di cento anni fa e che sta sfruttando le stesse indecisioni che al tempo gli spianarono la strada.

Cappellini, rocambolescamente, non esita a mettere il disprezzo rossobruno per le putide democrazie liberali in relazione con il più atlantista tra i governi occidentali, cioè quello dell’attuale centrodestra. Poi parla della sicumera antipolitica che produce odio contro Parlamento: dovrebbe forse riferirsi agli amici del “campo largo”, Cinque Stelle inclusi, che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Di seguito rapporta il fascistissimo cambio della legge elettorale per dare il 65% dei seggi a chi raggiunge il 25% dei voti, contro cui si scagliò Matteotti, con la riforma del premierato, che invece è semmai vicina al modello britannico. E infine si inoltra nel mondo delle supercazzole con “la volontà di usare la rabbia degli ultimi per esercitare il dominio dei pochi sui molti”. Insomma Cappellini usa la serie tv presentata a Venezia per leggere sottosopra la realtà odierna, contro un governo che, egli dimentica di considerare, governa perché ha vinto delle libere elezioni.

Cappellini, infatti, rispetto al fascismo a viso aperto descritto nella serie tv, tiene a soffermarsi sul “fascismo rimasto nelle viscere della società, dei nostalgici più o meno mascherati, quelli evocati da Giorgia Meloni durante una intervista in tv nel pieno dell’ultima campagna elettorale: ‘Direttore, vinceremo per quelli che per decenni hanno dovuto tenere la testa bassa’”. Giorgia Meloni intendeva ovviamente tutti gli esclusi dal mainstream di sinistra, ma ormai nell’articolo di Cappellini la realtà è esclusa, conta solo la rappresentazione. E infatti, in cauda venenum, l’articolo di chiude così: “Ah, il direttore era Gennaro Sangiuliano. È una serie da non perdere”.

In pratica, incredibilmente, Repubblica riesce a mettere in relazione con il fascismo un caso di pruderie, di guardonismo, di sputtanamento, anche d’imbarazzo politico, ed è certamente vero, come ha detto un altro prestigioso ministro di questo governo, che si poteva avere più cautela. E come ha scritto il direttore de il Giornale, Sangiuliano avrebbe fatto bene a valutare le dimissioni, per ribaltare il canovaccio dei suoi nemici e liberarsi da questa inguardabile crocefissione mediatica che va in scena ogni giorno, passo che infine ha compiuto. Ma scomodare per tutto ciò il fascismo, pensavamo andasse oltre anche alla fantasia di Repubblica. Pensavamo. 


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