Attenzione: anche Pupi Avati è diventato fascista

· 29 Agosto 2024


Cari ascoltatori, grazie ai segugi instancabili di Repubblica bisogna aggiornare l’elenco dei fascisti, che si arricchisce di un nome sorprendente: Pupi Avati. La boutade etilica pubblicata su Repubblica proviene dall’inviato alla mostra del cinema a Venezia, Stefano Cappellini, che pare essere lì non tanto per raccontare le pellicole e commentare le nuove tendenze del cinema, quanto per stanare complotti neofascisti. La paginata sul quotidiano che ne è scaturita si intitola “L’altro sogno al Lido è quello della destra, che vuole prendersi il cinema italiano”.

Intanto è un curioso lapsus questa idea che la destra voglia “prendersi” il cinema: Repubblica sta sempre in un’ottica padronale per cui il cinema deve avere a che fare con il mainstream progressista e guai a chi si avvicina. Ma anche più divertente è andare a cercare gli elementi che supporterebbero questo assalto neofascista alla settima arte. La prova regina è la seguente: il film di chiusura è stato concesso “a Pupi Avati, cantore del piccolo mondo antico che da tempo ha raccolto la bandiera che fu di Pasquale Squitieri, nel ristretto novero dei cineasti dall’altra parte della barricata”. Altro lapsus: sono loro a dividere la settima arte in barricate, una buona e una cattiva. E chi non si raffigura Pupi Avati in camicia nera con un manganello in mano? A noi sempliciotti era sembrato una delle figure pubbliche e culturali più miti e ragionanti del panorama italiano, e invece è un neofascista che dà l’assalto alla Mostra del cinema. Cappellini rivela un’altra prova di questo Watergate nero: il ministro Gennaro Sangiuliano ha voluto una riforma del tax credit, cioè dei contributi pubblici alle pellicole, e ha scritto al Foglio “abbiamo visto all’opera rampolli di famiglia con risultati davvero modesti”.

Il fatto è che il mainstream è paranoico, vede fascismo ovunque – senza accorgersi che così, tra l’altro, relativizza e insulta le vittime del fascismo vero – e ogni giorno compila una lista di proscrizione: oggi è toccato a Pupi Avati, perché canta un piccolo mondo antico, nel quale invece pulsano più verità universali che nelle redazioni dei giornali chic. Ma, dato che non ci sono le terrazze romane, loro non se ne accorgono. Prendete per esempio “Regalo di Natale”, uno dei film più celebri del regista bolognese: è un trattatello di realismo e di pessimismo antropologico che a nostro avviso sta in prossimità del pensiero di  Hobbes e Machiavelli.

La miglior risposta a questo ennesimo pasticcio ideologico sta in un’intervista che Pupi Avati stesso diede quasi un anno fa a Libero. Disse: “Quando da Bologna sono arrivato a Roma, ho frequentato la terrazza romana dell’attrice e regista Laura Betti, quella di Moravia, di Bertolucci, di Pasolini. Una sera ho capito che avevo bisogno di essere emarginato da quel contesto, e per essere emarginato è stato sufficiente dire che mia madre era assessore della democrazia cristiana”. A noi il piccolo mondo antico di Pupi Avati piace, è molto meglio del grosso mondo farlocco di Repubblica.


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