Per Sanchez autonomia ok. Ma l’amica Elly non capisce

· 23 Agosto 2024


In questa puntata della nostra rubrica settimanale dedicata all’autonomia differenziata “Regioniamoci sopra”, Giuliano Zulin approfondisce il triangolo autonomia-Sanchez-Schlein. Indovinate qual è l’estraneo? Quindi, mentre il partito di Elly e tutta la sinistra raccolgono firme per un referendum che cancelli una misura sana e liberale che loro stessi fino a poco tempo fa avevano fortemente voluto, Pedro Sánchez, premier iberico ed esponente di spicco del partito socialista europeo, grande alleato di Elly, impartisce una lezione agli amici italiani portando avanti, secondo le sue stesse parole, un federalismo molto spinto. La Catalogna ha recentemente portato a termine un accordo per trattenere il 100% dei tributi prodotti nel suo territorio, ma in generale tutto il dopo-Franco, dal 1978, è stato improntato, a più velocità e con differenze, a incentivare le autonomie.

Zulin spiega dunque qualche dettaglio dei buoni risultati spagnoli: “il Pil regionale è costantemente aumentato in 44 anni, cioè dal 1978 al 2022. Per fare qualche esempio, Murcia, che prima del 1978 era una delle regioni più povere, ha avuto la miglior performance economica, con più 230 per cento; la Rioja ha fatto il 215 per cento, le Baleari 203 per cento, la Navarra 192 per cento, la Canaria 187 per cento, la comunità valenciana 179  per cento”.

Che cosa significa, si chiede Zulin? “Che quando un territorio può esprimersi e può essere gestito con efficienza, oculatezza e visione, attrarre investitori internazionali, cercare di migliorare i servizi, si vede chi è più bravo e chi è meno bravo; ma se tutto finisce nel calderone dello Stato non si sa più che cosa succede”.

E in Italia? Secondo uno studio dell’Università di Cagliari, tra il 1870 (Unità d’Italia e Roma capitale) e il 2011 il Pil italiano pro capite è aumentato di 12 volte: meglio del Regno Unito, 7 volte, e al passo di Francia e Germania, 12 volte. Ha fatto peggio della Spagna, 14 volte, e dei Paesi scandinavi: Norvegia e Finlandia, hanno visto aumentare il proprio reddito di 21 volte, la Svezia 19 volte, il Giappone più 30 volte, la Corea del Sud oltre 37 volte.

“Lo studio”, aggiunge Zulin, “rileva anche che l’Italia è andata a due velocità, anche a causa delle politiche centralistiche: chi andava bene ha continuato ad andare bene; chi non andava bene, ha peggiorato la propria situazione. Il Pil pro capite delle regioni settentrionali è aumentato di quasi 14 volte, come la Spagna (ricordiamo Paese molto autonomista), e meglio di Francia e Germania. L’incremento invece del Mezzogiorno è stato invece inferiore alle 10 volte, praticamente peggio di qualsiasi altra Nazione della periferia europea, indebolendo così la performance del nostro Paese. Questo vuol dire che il Sud necessita di attenzione, ma con strumenti diversi”.

Il fatto è che i soldi ci sono: a questo proposito Zulin cita uno studio della Banca d’Italia di un anno fa, che spiega quanti soldi sono a disposizione del Sud fino al 2030. “Il PNRR e il Fondo nazionale complementare che lo accompagna mettono a disposizione delle regioni meridionali circa 82 miliardi, (sappiamo che il 40% delle risorse contenute nel PNRR deve essere investito nel Mezzogiorno). Bisogna inoltre considerare i 54 miliardi di Fondi di coesione europei del ciclo di programmazione 2021-27, i 24 miliardi del ciclo precedente non ancora spesi e i 58 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione: quindi, in tutto le risorse aggiuntive da utilizzare entro il 2030 per interventi al Sud ammontano a circa 200 miliardi. Si tratta di risorse ingenti, scrive Banca d’Italia, pari in media per ciascun anno a circa il 6% del Pil dell’area. Questo significa che queste risorse devono essere spese in progetti che valgono 6% del Pil annuo”. Dunque il denaro c’è, si tratta di spenderlo bene. Magari con un occhio alla Spagna.

 

 


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