Da Delfini a Berto, guida per vedere Scurati in tv

· 23 Agosto 2024


In questa nuova puntata della nostra rubrica “Alta tiratura” Alessandro Gnocchi, mentre nelle prossime settimane verrà proiettata a Venezia la serie televisiva “M. – Il figlio del secolo” tratta dall’omonimo ciclo di romanzi di Antonio Scurati sulla figura di Benito Mussolini, ne anticipa il tema da un punto di vista “obliquo”, illustrando l’originalità di pensiero di due scrittori che hanno abbracciato il fascismo e poi lo hanno abiurato, pagandone anche le conseguenze.

Il primo è il modenese Antonio Delfini, che ha abbandonato la camicia nera dopo aver partecipato alla guerra in Etiopia. Nei suoi diari c’è questo appunto del 15 marzo 1937: “C’è troppa affinità letteraria tra intellettuali fascisti e intellettuali avversari, perché si possa credere nell’nascita di qualcosa di grande da quelli, cioè dagli avversari. Gli scrittori di regime sono cortigiani, ma non sono molto differenti da quelli che stanno fuori dal fascismo, indifferenti ma illuminatissimi, oscuri, ermetici, mai chiari, provanti e coscienziosi nel loro mestiere di letterato”. Cioè sta accusando proprio quell’ambiente del famoso bar Giubbe Rosse di Firenze che si nascondeva dietro alla poesia ermetica per non prendere posizione contro il regime, il che talvolta poteva risultare utile.

E ancora: “Dopo il 25 luglio, cioè il giorno del 1943 in cui cadde Mussolini, venni a sapere, con mia meraviglia, che tutti quegli antifascisti avevano lavorato soltanto loro per far cadere il fascismo. Io temo di intuire che essi si erano organizzati per l’eventuale caduta del fascismo e non per far cadere il fascismo. Siamo giusti, il fascismo l’hanno fatto cadere gli inglesi, filofascisti fino al ’35, gli americani, i russi e i fascisti meno stupidi e meno delinquenti, mentre il re ha saputo dare con molta eleganza e con fascistica-antifascistica furberia lo sgambetto finale a Mussolini. Quanto alla massa degli antifascisti, via, siamo franchi, apriamo il nostro cuore, la loro innocenza per la caduta del fascismo è quasi completa”.

Antonio Delfini è stato anche un teorico dell’autonomia regionale: secondo lui l’Unità d’Italia è stata fatta male e ogni regione d’Italia conserva una memoria segreta, in alcuni casi esplicita, di quella che è sempre stata nel passato. Noi veniamo da una tradizione di autonomia, l’Italia è sempre stata divisa in Stati diversi. L’unione si poteva fare, ma non come è stata fatta dagli Savoia, cioè centralizzando tutto, portando la capitale a Roma. È una visione completamente diversa da quella del resto del mondo intellettuale, con qualche eccezione: ad esempio di Pasolini, che era un autonomista e non a caso era il più grande estimatore di Delfini. Fu Pasolini a volergli dare, causando scandalo, il premio Viareggio, che arrivò a posteriori, perché Delfini era appena morto.

L’altro scrittore trattato da Gnocchi è Giuseppe Berto, che negli anni Cinquanta scrisse “Guerra in camicia nera” che racconta la sconfitta subita in Africa dal fascismo e mostra come reagì un giovane che in buona fede aveva creduto effettivamente nel fascismo in buona fede.

Berto, spiega Gnocchi, scrisse poi molti articoli che sarebbe fondamentale recuperare perché mostrano la vita travagliata degli intellettuali che negli anni ’60 e ’70 non avevano voglia di intrupparsi nel baraccone marxista paraintellettuale, che per darsi una patina di rispettabilità sociale si proclamava marxista senza aver mai letto un rigo di Marx.

In uno degli articoli più belli Berto dice: “Mi definisco un isolato perché non voglio dichiararmi antifascista; pur non essendo fascista preferisco dichiararmi a-fascista”. E spiega subito dopo che a-fascista è una parola che esprime un’avversione al fascismo così intima e completa da non poter tollerare l’antifascismo. Viene quasi naturale citare la famosa battuta di Ennio Flaiano: “I fascisti d’Italia si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”. Aggiunge Berto che il fascismo è autoritarismo violento, coercitivo, retorico, stupido, ma l’antifascismo è lo del pari se non di più. Per non dire dei marxisti alimentati dai partiti in nome di principi invalicabili, democratici antifascisti e nati dalla resistenza, “mentre in realtà ciò che li unisce è una comunità di interessi che non è azzardato definire mafiosa, tendente all’acquisto alla conservazione e all’esercizio del potere: è un potere immenso che include la televisione, la radio, l’informazione, l’editoria, l’accademia, i premi letterari, gli emolumenti ministeriali. Chiunque non faccia atto di sottomissione è bollato come fascista e quindi escluso dal consesso delle persone presentabili. La cultura è di sinistra o non è”.


Opinione dei lettori

Commenta

La tua email non sarà pubblica. I campi richiesti sono contrassegnati con *




Radio Libertà

Background