Daniele Capezzone: “Trump vendicatore dei dimenticati”

· 27 Luglio 2024


A Parlando liberaMente, la nostra intervista settimanale con i protagonisti della politica, dell’attualità, del giornalismo, è con noi Daniele Capezzone, direttore editoriale di Libero e saggista, con il quale abbiamo ragionato soprattutto di questo momento particolare nella storia americana.

Era dal 1981, con Ronald Reagan, che non assistevamo a un attentato alla vita di un presidente degli Stati Uniti: un fatto enorme, blasfemo, per una comunità liberal-democratica. Eppure è già sparito dal dibattito: “Tutta l’operazione ‘fuori Biden-dentro Kamala’, pompando la vice presidente, ha avuto anche l’obiettivo di offuscare l’emozione, l’attenzione creata dai fatti di Butler in Pennsylvania. Ma è vero anche che se l’operazione è riuscita dal punto di vista mediatico, sarà difficile che avvenga nelle coscienze dell’America profonda”.

“Il fatto notevole è che Biden è il presidente in carica, vincitore delle primarie dem, e fino al 27 giugno, data del dibattito con Trump, tutta la macchina del Partito democratico sosteneva che fosse pimpante e lucidissimo, solo un po’ stanco. Ma appena è andato ko nel dibattito, improvvisamente tutta quella macchina politica e mediatica ha cambiato spin: come ha detto Federico Punzi, è come se fossero dentro un grande gruppo WhatsApp in cui qualcuno dà una nuova indicazione e tutti cantano una nuova canzone. Ora gli stessi che dicevano che Kamala aveva gestito malissimo il problema immigrazione sono quelli che dicono che Kamala non ha colpe, che l’hanno gestito altri. L’ordine è di generare entusiasmo. La cosa comica è che Kamala aveva mandato anche messaggi che parlavano di rigore sui confini e invece i confini sono un colabrodo, non solo quantitativo, ma anche qualitativo, passa ogni genere di criminale, non solo chi cerca davvero lavoro”.

“Dopo l’addio di Biden la nuova tesi è stata che avrebbe avuto luogo una gara vibrante, una competizione aperta per sostituire il candidato, ma non è vero, Kamala è pilotatissima. Ora la gara è solo per il vice, probabilmente uomo, bianco e moderato, magari del Midwest. Sul quale dovranno trovare un compromesso il clan Obama, il clan Clinton e il clan Pelosi”. Con un presidente che assurdamente non è all’altezza della candidatura ma della presidenza sì, i cento giorni che mancano alle elezioni saranno lunghissimi: “Con Biden in difficoltà, è probabile che a guidare gli affari siano stati finora il Consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan e il Segretario di Stato Blinken. Il punto è che non sono loro a esser stati eletti”.

Ora il nuovo bersaglio è J. D. Vance: “È il solito schema: si trova un nemico e si comincia a lapidarlo. Non gli viene perdonato di essere un maschio bianco del Midwest che si arruola e va in Iraq, gli riesce l’ascesa sociale partendo da una condizione svantaggiata, ma non appartiene all’establishment. Per cui è un mostro. Viene presentato come un personaggio rozzo, ma in realtà è un intellettuale sofisticato che fa le stesse analisi di Trump senza essere, al tempo di “Elegia americana” nel 2016, vicino a Trump: c’è un’America dimenticata, un’America profonda con immense aree deindustrializzate, un ceto che era medio bianco e che si va impoverendo, per cui serve una risposta a questa gente”.

Piuttosto, chiosa poi Capezzone, “non so se sceglierlo sia stata una buona idea per Trump, credo che un candidato, a maggior ragione quando è molto connotato, dovrebbe cercare un compagno di corsa che aggiunga elementi diversi, che allarghi il suo ventaglio. Trump percepisce Vance come se stesso con 30 anni di meno, immagina di lasciare poi lo scranno a un outsider come lui, che la pensa come lui ed è stato anche sostenuto al Senato: una specie di sistematizzazione quasi filosofica del suo pensiero. Confesso che a me non sarebbe dispiaciuta la scelta di Marco Rubio o di una figura che rappresentasse un altro pezzo di partito più tradizionalmente atlantista e antitasse”.

La mostrificazione di Donald Trump sta nella caricatura che ne viene fatta: e invece nei quattro anni di presidenza “la sua condizione dell’economia è stata spettacolare, con taglio di tasse e disoccupazione al 3-4%; in Medio Oriente accordi di Abramo e Iran isolato; Corea del Nord tenuta a bada, la Cina per la prima volta affrontata in modo più energico; sul fronte dell’est Europa, lo avevano coinvolto nel Russia-gate, ma era stato lui a dare agli Ucraini, con preveggenza, i missili Javelin che poi sarebbero serviti a Kiev per difendersi, ed era stato lui a dire alla Germania e all’Europa che eravamo troppo dipendenti dal gas russo. Putin ha agito indisturbato durante il mandato di tutti i presidenti degli Stati Uniti, tranne Trump”.

Sulla Cina: “C’è una fascinazione degli intellettuali occidentali, fino al 1989 era per l’Unione sovietica, poi hanno dovuto riempire il vuoto con dei surrogati: prima il terzomondismo, poi il panarabismo, poi i regimi più stravaganti, e adesso l’ascesa del gigante asiatico è vista con simpatia in chiave anti-Trump. Negli anni del clintonismo ha ingannato la grande illusione che la Cina sarebbe stata la fabbrica del mondo e le economie occidentali sarebbero state economie di servizi o basate sulla finanza”.

Ma la Cina aspira al primato nell’arco di decenni, “quindi il tema è come riportare qui alcune produzioni. Cero, non bisogna cadere nel dirigismo e serve tempo per creare un sistema adeguato di strutture e costi, per esempio non abbiamo più colletti blu, operai. La decadenza di quel ceto medio è cominciata con Clinton, in quel periodo è stata sottovalutata a causa dell’abbaglio globalista: questa è la causa remota del trumpismo”.

L’allarme estremismo vive così un paradosso, i pro-pal a Capitol Hill: “Trump di tanto in tanto è scivolato nella post-verità, ma gli altri stanno sistematicamente accampati nel terreno della pre-verità, di una Orwelliana pre-truth. Prima della realtà delle cose oggi conta chi la dice: se sei nell’area dei lebbrosi sei inascoltabile per sempre, se sei nell’area del pensiero accettato puoi dire e fare qualsiasi cosa: così negli anni in cui Black Lives Matter metteva a ferro e fuoco le città la Cnn descriveva quelle manifestazioni come prevalentemente pacifiche. E nei mesi passati i manifestanti che occupavano i campus chiedevano cibo bio e rifiutavano il bagel come pane, perché è di origine ebraica…”.

Trump ricorda una frase nel film “Il cavaliere oscuro”, su Batman: Non è l’eroe che meritiamo, è l’eroe di cui abbiamo bisogno: “Trump porta con sé delle incognite, ma sono meglio delle le cupe certezze dei dem: errori in politica estera, appesantimenti in politica interna e in economia, più questa cappa insopportabile per cui sono loro a stabilire quello che devi pensare e quello che puoi dire. Nel film c’è un’altra battuta, di Alfred: “ci sono quelli a cui piace incendiare il mondo”. Addossano questa frase a Trump e non si accorgono che i piromani sono loro, ineccepibili, con le camicie stirate e la cravatta perfetta”.


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