Follia woke alle Olimpiadi, sfottono la nostra civiltà
Giovanni Sallusti · 27 Luglio 2024
Cari ascoltatori, però no, le Olimpiadi woke no. I Giochi dovrebbero essere qualcosa di epico, l’apoteosi dello sforzo individuale e di squadra, la celebrazione della prestazione dell’atleta, e anche un evento legato alla storia delle nazioni, alle civiltà che si rappresentano, si cimentano e si misurano nell’impresa sportiva: di certo non una vittima delle turbe ideologiche del momento.
Ieri la cerimonia di inaugurazione sulla Senna è stata invece un prontuario fastidiosamente preciso del politicamente corretto, un’ideologia che ha il suo baricentro nell’annaquamento dell’identità europea e occidentale. È sembrata più un’apertura del gay pride, un carrozzone all’insegna dell’inclusività, al quale ha tenuto a intervenire anche Ursula von der Leyen, che ha spiegato come la nostra Unione Europea e le Olimpiadi mostrino la forza della diversità. Ma perché questa mono-ossessione per cui qualunque cosa, comprese le Olimpiadi, devono celebrare la diversità e l’inclusione? Questi dogmi livellano qualunque fenomeno sociale, culturale, sportivo, tutto gira intorno a queste due parole, diversità e inclusione.
Poi c’è stato il capolavoro all’incontrario, la versione drag queen, allestita su un barcone, dell’Ultima cena di Leonardo Da Vinci, un capolavoro che riguarda l’identità europea e occidentale e la cristianità, che è stata ridicolizzata come nessuno oserebbe mai fare con altre religioni, men che meno quella islamica.
Tutto questo accade perché uno dei tratti di questa ideologia è il culto dell’altro: l’altro va sempre bene, soprattutto se è islamico; mentre tutto ciò che ci appartiene va attaccato e preso in giro, perfino la nostra radice più profonda e irrinunciabile, perché, come disse Benedetto Croce (filosofo liberale e di certo non un baciapile), non possiamo non dirci cristiani: vale nella cultura, nell’arte, nella letteratura. Così come è impensabile il laicismo senza il Cristianesimo, il fondatore del laicismo è stato Gesù Cristo – ieri sera rappresentato come un travestito – che disse “a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”.
Tutto il nostro impianto culturale è figlio del Cristianesimo, inclusi laicità, culto della persona, intangibilità dell’individuo, secolarizzazione. Un impianto che ieri sera è stato sbertucciato con compiacimento woke in un’importantissima capitale europea: una vetta, per dirla con Roger Scruton, di oicofobia, l’odio di sé è della propria casa, della propria tradizione. Non è neanche più una tragedia, perché le tragedie hanno una loro grandezza, ma solo una triste una farsa masochista che quotidianamente si replica.