La commedia dem: ciao Biden, arriva una peggiore

· 19 Luglio 2024


Cari ascoltatori, stiamo transitando dall’elegia alla commedia americana. “Elegia americana”, lo sapete, è il titolo di un best-seller scritto dal senatore J.D. Vance, appena nominato candidato vice-presidente per il partito repubblicano: un romanzo sul sogno americano, incluse le difficoltà, le contraddizioni, la lotta per affermarsi. Vance, ricordiamo, è figlio della classe operaia bianca, quella che ha voltato le spalle ai democratici e oggi vota Donald Trump. Ha servito in Iraq come caporale, poi ha concluso gli studi e si è affermato nel lavoro: oggi è un riferimento per il capitalismo americano. Non è strano quindi il suo impegno politico, quasi per presidiare l’American Dream, non vederlo morire per autoconsunzione, logorato dalle follie woke.

La commedia invece è da settimane appalto del Partito Democratico, che finora ha continuato a opporre a Trump questo anziano, al quale si deve anche rispetto, perché ha una storia politica importante che risale a quando il Partito Democratico non era schiavo delle follie woke. Biden è stato un kennediano, non sarebbe comunque la nostra tazza di tè; ma il fatto è che, senza voler infierire sulla persona, come comandante in capo è ormai fisicamente e psichicamente non presentabile.

Oggi è stato fatto un passo avanti verso l’inevitabile ritiro della candidatura: Biden ha dichiarato di avere il covid e che quindi ha dovuto annullare gli impegni delle prossime settimane e stare in isolamento. Sulla possibile alternativa per la corsa alla Casa Bianca, il nome che insiste è la vice presidente Kamala Harris: e qui la commedia deraglia, perché la Harris un chilometro fuori da Washington D.C. è ritenuta inaccettabile dall’elettore americano, un incrocio fra una politica inefficace e una gaffista drammatica. Per dirne una: Kamala ha avuto in delega la gestione del problema migratorio, soprattutto rispetto al confine sud: cominciò con discorsi quasi trumpiani e con un appello invitò i migranti a non entrare illegalmente in America, incassando anche critiche da sinistra. Poi non ha fatto più nulla, tanto che il confine sud è un colabrodo, è fuori controllo. Il malvagio muro di Trump, che in realtà iniziò Bill Clinton, è stato fermato e la situazione è degenerata rapidamente. Inoltre molti suoi collaboratrici e collaboratori, anche con incarichi apicali, hanno lasciato perché, a quanto dicono, pare che lei abbia l’abitudine di trattarli, diciamo con un eufemismo, non benissimo.

Nell’ultimo periodo la Harris ha preso inoltre una strana abitudine, di ridere sguaiatamente in pubblico, non solo senza motivo, ma in situazioni palesemente inopportune. Per esempio, quando in una conferenza stampa le fu chiesto se gli Stati Uniti fossero disposti a istituire uno stanziamento per i rifugiati ucraini, scoppiò a ridere così tanto che la sala ammutolì per l’imbarazzo. Era incappata nello stesso in un altro incontro con i giornalisti, quando, all’indomani della ritirata in Afghanistan, le vennero chieste notizie sulla situazione. Kamala è ormai un personaggio da slapstick comedy, quel genere cinematografico in cui l’effetto comico è dato dal linguaggio stesso del corpo. Vance e Harris, cioè elegia e commedia: questa è la fotografia del quadro politico americano.


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