Ho letto con grande interesse il contributo di Carlo Lottieri su cosa insegna alla destra la vittoria di Milei in Argentina. Carlo è per me un maestro anche se non sono stato suo allievo. Non concordo con lui quando parla di moneta (che per me non può che essere fiduciaria al contrario di ciò che dice Carlo) e di Ponte sullo Stretto di Messina. Ma ho rinunciato a convincerlo quella sera a cena anche perché eravamo entrambi reduci da interviste surreali di inviate molto ostili di Rai3. E ci stavamo sorseggiando non ricordo più cosa. Eravamo tutti e due in trincea. Che mi metto a fare? Ad intraprendere sfibrato un’altra battaglia con un maestro di libertà con cui condivido -per il resto- ogni singola parola? Lottieri ritiene che dalla vittoria di Milei la destra debba trarre un insegnamento. Siamo stati ormai abituati a perdere un pezzettino per volta la nostra libertà; ha sempre scritto Lottieri sul Giornale. Lo abbiamo visto in tempi di pandemia con il lockdown ed il greenpass. E ci abitueremo rassegnati pure al tappo attaccato alla bottiglia. Sopravviveremo anche a questo.
Chissà magari hanno pure ragione loro. Ma ci siamo abituati ad una iper-regolamentazione di ogni dettaglio della nostra vita da parte del Leviatano. Un mostro che sta sopra di noi e che non riusciamo a rovesciare neppure con le elezioni. Quel mostro è fatto di cellule. Ognuna delle quali è un mediocre ed invisibile funzionario della burocrazia europea. Magari sarà rumeno o forse cipriota. Ma nessuno lo ha eletto. E nessuno potrà rimuoverlo. Hanno vinto loro. Abbiamo interiorizzato l’idea che si può fare solo ciò che è consentito della legge. Mentre invece dovremmo essere liberi di fare tutto ciò che non è espressamente vietato. Quante check list dovremo compilare se volessimo vendere il cocco in spiaggia? In tal senso la motosega di Milei è lì che scoppietta sopra la destra che si dimentica di essere tale. Di lottare per l’individuo e per la famiglia contro l’oppressore burocratico.
Ma al pari delle vittorie altrui io penso che siano anche le sconfitte altrui a fare da monito. Forse di più. E la bruciante sconfitta dei conservatori forse ci insegna qualcosa di più. Una sconfitta che forse non è neppure reversibile. Perché i Tories hanno così tradito sé stessi ed i loro elettori che forse non c’è più bisogno di loro. Il loro posto lo ha preso Farage. Che a me piace un sacco. Ed è ad un passo da superarli nel voto popolare e poi quindi in Parlamento. Allister Heath, acuto columnist del Telegraph, forse non ha usato la motosega ma di sicuro l’accetta per demolire il partito conservatore. Hanno tassato e regolamentato oltre ogni misura i loro elettori. Spesso “ridendo di loro” in privato mentre stavano a cena con la gente che piace che ovviamente ora governa con Starmer. Gente come Torsten Bell della Resolution Foundation o Chris Stark della Climate Change Committee. E come documento nel mio libro “Per non morire al verde” Heath li aveva avvertiti ma da tempo più di un anno fa. Sempre sul Telegraph. L’Unione Sovietica di piani quinquennali ne ha visti ben dodici. Li predisponeva il famigerato Gosplan. La Cina addirittura 14. Ebbene, anche in un Regno Unito governato fino a pochi giorni fa dai conservatori, tanti elettori non lo sanno ma è in atto il quarto piano quinquennale, che dalle parti di Londra chiamano però Carbon Budget.
La “nomenclatura verde” ha acquisito un potere immenso. Indipendentemente da chi sta al governo. Siano essi conservatori, laburisti o liberaldemocratici. Il piano attualmente in vigore va dal 2023 al 2027. Cosa si propongono questi piani? Anzi cosa ci impongono? «Programmi dettagliati che reingegnerizzano la società partendo dall’obiettivo di tagliare le emissioni di un certo ammontare», scriveva Heath. Di sicuro quel piano ha intanto tagliato i voti ai Tories prima che le emissioni. Forse più ferocemente della motosega di Milei. E che se ne ricordino i nostri rappresentanti al governo. Come Fantozzi aveva la “nuvoletta da impiegato”, ogni politico ha una motosega. Ma non in mano, bensì sopra la sua testa.
La motosega di Milei va azionata anzitutto contro le follie green. Per non fare la fine dei Tories
Fabio Dragoni · 18 Luglio 2024
Ho letto con grande interesse il contributo di Carlo Lottieri su cosa insegna alla destra la vittoria di Milei in Argentina. Carlo è per me un maestro anche se non sono stato suo allievo. Non concordo con lui quando parla di moneta (che per me non può che essere fiduciaria al contrario di ciò che dice Carlo) e di Ponte sullo Stretto di Messina. Ma ho rinunciato a convincerlo quella sera a cena anche perché eravamo entrambi reduci da interviste surreali di inviate molto ostili di Rai3. E ci stavamo sorseggiando non ricordo più cosa. Eravamo tutti e due in trincea. Che mi metto a fare? Ad intraprendere sfibrato un’altra battaglia con un maestro di libertà con cui condivido -per il resto- ogni singola parola? Lottieri ritiene che dalla vittoria di Milei la destra debba trarre un insegnamento. Siamo stati ormai abituati a perdere un pezzettino per volta la nostra libertà; ha sempre scritto Lottieri sul Giornale. Lo abbiamo visto in tempi di pandemia con il lockdown ed il greenpass. E ci abitueremo rassegnati pure al tappo attaccato alla bottiglia. Sopravviveremo anche a questo.
Chissà magari hanno pure ragione loro. Ma ci siamo abituati ad una iper-regolamentazione di ogni dettaglio della nostra vita da parte del Leviatano. Un mostro che sta sopra di noi e che non riusciamo a rovesciare neppure con le elezioni. Quel mostro è fatto di cellule. Ognuna delle quali è un mediocre ed invisibile funzionario della burocrazia europea. Magari sarà rumeno o forse cipriota. Ma nessuno lo ha eletto. E nessuno potrà rimuoverlo. Hanno vinto loro. Abbiamo interiorizzato l’idea che si può fare solo ciò che è consentito della legge. Mentre invece dovremmo essere liberi di fare tutto ciò che non è espressamente vietato. Quante check list dovremo compilare se volessimo vendere il cocco in spiaggia? In tal senso la motosega di Milei è lì che scoppietta sopra la destra che si dimentica di essere tale. Di lottare per l’individuo e per la famiglia contro l’oppressore burocratico.
Ma al pari delle vittorie altrui io penso che siano anche le sconfitte altrui a fare da monito. Forse di più. E la bruciante sconfitta dei conservatori forse ci insegna qualcosa di più. Una sconfitta che forse non è neppure reversibile. Perché i Tories hanno così tradito sé stessi ed i loro elettori che forse non c’è più bisogno di loro. Il loro posto lo ha preso Farage. Che a me piace un sacco. Ed è ad un passo da superarli nel voto popolare e poi quindi in Parlamento. Allister Heath, acuto columnist del Telegraph, forse non ha usato la motosega ma di sicuro l’accetta per demolire il partito conservatore. Hanno tassato e regolamentato oltre ogni misura i loro elettori. Spesso “ridendo di loro” in privato mentre stavano a cena con la gente che piace che ovviamente ora governa con Starmer. Gente come Torsten Bell della Resolution Foundation o Chris Stark della Climate Change Committee. E come documento nel mio libro “Per non morire al verde” Heath li aveva avvertiti ma da tempo più di un anno fa. Sempre sul Telegraph. L’Unione Sovietica di piani quinquennali ne ha visti ben dodici. Li predisponeva il famigerato Gosplan. La Cina addirittura 14. Ebbene, anche in un Regno Unito governato fino a pochi giorni fa dai conservatori, tanti elettori non lo sanno ma è in atto il quarto piano quinquennale, che dalle parti di Londra chiamano però Carbon Budget.
La “nomenclatura verde” ha acquisito un potere immenso. Indipendentemente da chi sta al governo. Siano essi conservatori, laburisti o liberaldemocratici. Il piano attualmente in vigore va dal 2023 al 2027. Cosa si propongono questi piani? Anzi cosa ci impongono? «Programmi dettagliati che reingegnerizzano la società partendo dall’obiettivo di tagliare le emissioni di un certo ammontare», scriveva Heath. Di sicuro quel piano ha intanto tagliato i voti ai Tories prima che le emissioni. Forse più ferocemente della motosega di Milei. E che se ne ricordino i nostri rappresentanti al governo. Come Fantozzi aveva la “nuvoletta da impiegato”, ogni politico ha una motosega. Ma non in mano, bensì sopra la sua testa.
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Fabio Dragoni
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