“Non mi arrenderò mai”. Perché ora The Donald incarna il corpo dell’America

· 14 Luglio 2024


Il canovaccio impazzito della campagna elettorale americana si arricchisce di un’eco ancestrale, direttamente dalle viscere di un Paese costruito sul diritto naturale e sulla Colt. Hanno sparato a Donald Trump. L’ultima volta accadde a Ronald Reagan, marzo 1981. Ronnie rischiò la vita e rimase in ospedale per settimane; a questo suo strano ma in un certo modo ugualmente iconico erede è andata molto meglio. Un capriccio del caso, l’orecchio destro invece della fronte. Ma anche uno straordinario colpo di reni fisico e simbolico (le due dimensioni in realtà sono la stessa, soprattutto in America) del vecchio leone, che si rende conto di essere vivo e nemmeno grave, si fa largo tra gli uomini del Secret Service che l’hanno circondato mentre i loro colleghi hanno già eliminato l’attentatore, mostra più volte il pugno battagliero e annuisce col capo verso i suoi sostenitori, verso il suo elettorato, verso la sua America, mentre dietro di lui sventola, pura, inalterata, una bandiera a stelle e strisce. È la storia in un fotogramma, Trump c’è, ferito ma subito intento a rilanciare. 

Non è solo la chiusura di ogni gioco elettorale, la vittoria per sentenza della realtà contro un avversario che non sa più incarnare il comandante in capo in un luccicante e amicale studio della Cnn, figuriamoci mentre gli sparano addosso. È anche questo, certo, il sopravvissuto è già in quanto tale proiettato alla Casa Bianca, ha acquisito un’aurea di indispensabilità in un momento storico tormentato della Nazione Indispensabile. Ma ormai è molto di più: ormai il corpo aggredito eppure fondamentalmente inviolato di Donald Trump è diventato, per ineluttabile ridondanza dell’immaginario, il corpo stesso dell’America, di quell’America che mostra la bandiera fuori da ogni casa, all’entrata di ogni scuola, al centro di ogni sagra o rodeo, sostanzialmente di tutta l’America fuori dall’isola di Manhattan e dalla baia di Santa Monica. L’America vulnerabile ma anche incontenibile, l’America che si rialza subito, per un minimo dovere verso se stessa, l’America che non contempla la resa (“non mi arrenderò mai!”, ha scritto il tycoon in una mail inviata ai propri sostenitori dall’ospedale) perché non è nel suo spartito, altrimenti non sarebbe mai nata quando quel pugno di coloni si rivoltò contro l’allora esercito più potente del mondo.

Da oggi, giocoforza, c’è una differenza ontologica tra Donald Trump e il campo a lui avverso, tra Donald Trump e Biden, tra Donald Trump e gli editorialisti col sopracciò, tra Donald Trump e i procuratori fissati, tra Donald Trump e lo star system anti-trumpiano. Perché Donald Trump, il volto rigato di sangue ma paradossalmente ringiovanito, il timpano che pulsa eppure non fa già più male, il pugno chiuso ribadito, la padronanza di sé e della propria missione mostrata nell’ora potenzialmente più buia, è l’America, e loro non possono farci più niente. L’America è in piedi, God Bless, festa di tutti gli spiriti liberi. 


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