Cosi Montanelli previde la follia Woke già 50 anni fa

· 14 Luglio 2024


In questa nuova puntata di Alta Tiratura, Alessandro Gnocchi dopo aver analizzato perché i premi letterari, tipo lo Strega, non fanno più vedere i libri che li vincono, e aver raccontato come uno spettacolo teatrale riporti al pubblico un classico, La Montagna Incantata di Thomas Mann, rivela in che modo Indro Montanelli, nella sua lunghissima vita e carriera di osservatore dell’umanità, abbia intuito, anzi previsto l’avvento dell’antifascismo in assenza di fascismo e della cancel culture, che avrebbe colpito pure lui e la sua immagine.

Gnocchi parte da “Come un vascello pirata”, volume uscito per Rizzoli in occasione dei 50 anni del Giornale fondato da Montanelli: il libro raccoglie una selezione di articoli e di “Controcorrente” del giornalista toscano, con la cura di Luigi Mascheroni che ne firma una bella introduzione e con il quale Gnocchi intavola una chiacchierata, da cui emerge la figura di “veggente sociale” di Montanelli.

Il Giornale viene fondato nel 1974, quando Montanelli esce dal Corriere perché il quotidiano dopo il ‘68 si è spostato troppo a sinistra, lo chiama “dei guatemaltechi”. La nuova testata guarda alla destra liberale, è attenta alla classe media, politicamente ed economicamente vede due grandi fari, quel che stavano facendo Ronald Reagan in Usa e Margaret Thatcher in Inghilterra. È una destra che crede nel mercato, nella libertà d’impresa, ma quasi aristocratica dal punto di vista culturale, con firme come Guido Piovene e Giovanni Arpino.

È nel clima pesante degli anni Settanta che Montanelli ha le intuizioni sul futuro di cui dicevamo. Un suo articolo del 4 settembre 1974 si intitola “Il ricatto” e attacca così: “Fra fascisti, neofascisti, paleofascisti, filofascisti, criptofascisti, fascisti di complemento, fascisti in borghese, non c’è più nessuno che possa sentirsi al riparo dall’infamante accusa. Se un radioamatore di qualche altro pianeta riesce a captare le voci della terra, tutto questo sciacquio di fascio, fascismo, fascisti che si leva dall’Italia, deve fargli pensare che il nostro Paese sia tutto una Tivoli o un immenso lavatoio dove le massaie battono i panni”.

Quindi c’è sempre stata, questa abitudine di lanciare accuse di fascismo a caso, come una specie di manganello ideologico con il quale si mette a tacere l’avversario. Già 50 anni fa Montanelli smascherava questo giochetto ipocrita, un po’ semplice, di dare del fascista a chiunque non la pensi come te. Hanno tacciato la destra berlusconiana di fascismo per 20 anni, poi l’hanno detto di Salvini quando era al massimo storico di voti, adesso il pericolo fascista è la Meloni. C’è sempre qualcuno che è più fascista di quello precedente, non se ne esce mai, perché in generale tutto ciò che non piace alla sinistra è fascista o accusabile di esserlo.

In “io e il duce”, Montanelli capisce e mette per iscritto la cultura della cancellazione, che all’epoca neppure esisteva come espressione, e addirittura ha la consapevolezza che una delle vittime sarà proprio lui, cosa che poi è avvenuta quando la gente è andata a imbrattare la statua nel giardino di Porta Venezia, a Milano. Riferendosi a Mussolini, Montanelli scrive che non si può negare che “la sua morte segni una data come la segnano le morte di Stalin, di Hitler, di Napoleone, di Robespierre, tutti uomini che non si possono certamente chiamare benefici e che di catastrofi di sangue e di stermini ne hanno sulla coscienza molto più di Mussolini”, aggiungendo poi: “Eppure i loro rispettivi popoli hanno profuso monumenti e lapidi alla loro memoria e nessuno si sogna di abbatterli, di asportarli perché tutti sanno che il loro nome è ormai patrimonio della storia, che poi questa storia sia bella o brutta è un altro discorso, io direi che è quasi sempre brutta perché quasi sempre è fatta di violenza e di sangue, ma va accettata perché è grazie ad essa che ogni popolo è buono o cattivo, biondo o bruno, quello che è. Per noi italiani la storia è invece solo un pretesto di divisioni e di risse. Nei furori dell’epurazione fu scalpellato via persino quello di Marconi perché il fascismo lo aveva fatto accademico”, scrive a proposito dei nomi delle piazze e delle strade che vengono cambiati.

Conoscendo bene l’Italia e gli italiani, Montanelli aveva intuito che la storia diventa facilmente uno strumento politico per combattere il nemico. Sapeva che la storia non va giudicata retrospettivamente con i parametri dell’oggi, ogni fatto va contestualizzato rispetto al pensiero, il sentimento, la morale di quel tempo e a distanza di tempo va semplicemente collocata: non c’è nessun bisogno di tirare giù le statue o cancellare qualcuno o qualcosa, basta semplicemente capirlo. Poco prima del passo su Marconi aveva scritto che c’era il rischio che sarebbe successo anche a lui: e infatti la statua ai Giardini Montanelli è stata più volte sporcata, perché gli si rinfacciava, e rinfaccia, l’appoggio al fascismo e alla colonizzazione italiana.


Opinione dei lettori

Commenta

La tua email non sarà pubblica. I campi richiesti sono contrassegnati con *




Radio Libertà

Background