Il piccolo Sala non capisce la dedica al grande Silvio

· 9 Luglio 2024


Cari ascoltatori, il sindaco di Milano Beppe Sala si è ridotto a parlare come un qualunque capetto della sinistra: ha bocciato l’idea di intitolare l’aeroporto di Malpensa Silvio Berlusconi e così si è messo alla pari dei giovani del Pd, degli scalmanati rossoverdi di Bonelli e Fratoianni, alla pari perfino di un’oscura consigliera comunale di Biella che ha detto: intitolategli un centro massaggi. Peraltro prendendosela con un’intera filiera economica come se le avesse fatto qualcosa.

Sala si è messo di traverso utilizzando cavilli burocratici, cose tipo che che non è arrivata una Pec alla Sea, la società partecipata dal Comune che gestisce l’aeroporto, insomma menate da azzeccagarbugli. Fino a che retoricamente si è chiesto se sia una buona cosa o no per la reputazione Malpensa e di Milano intitolare l’aeroporto a Berlusconi.

A Beppe Sala serve forse un ripassino veloce sulla biografia del suo concittadino, che non solo era milanese al 101 per cento ma, secondo noi, ha anche incarnato il meglio dell’antropologia meneghina.
Ricordiamo dunque a Sala che il milanese Berlusconi ha rivoluzionato il concetto dell’abitare, ha portato in Italia un nuovo modello di costruzione: davanti a due lande desolate vide una nuova città e nacquero Milano 2 e Milano 3.

Silvio Berlusconi è stato il milanese che in questo Paese ha rotto il monopolio statale della televisione: prima di lui c’era solo la Rai, la tivù di Stato, un po’ come accade nelle autocrazie, piuttosto che nelle democrazie liberali e pluraliste. Ecco, rompere il monopolio statalista della televisione è stato un merito storico oggettivo, addirittura un merito culturale di Silvio Berlusconi: nel settore delle telecomunicazioni ha portato la modernità, la libertà d’impresa, proprio quel pluralismo liberale di cui si riempiono la bocca i suoi oppositori.

E poi Silvio Berlusconi è il milanese che un giorno ha comprato una squadretta che si chiamava Milan, la cui società aveva i libri in tribunale, e ne ha fatto una delle più grandi pagine di epica sportiva del mondo, rivoluzionando i canoni imprenditoriali del calcio, e di conseguenza quelli antropologici, e badate che il calcio è la più grande industria dell’intrattenimento nazionale, non è una cosetta collaterale.

Infine Silvio Berlusconi è il milanese che, quando Tangentopoli fece piazza pulita dei partiti liberali atlantisti della Prima Repubblica, cosicché non rimase alcun ostacolo tra i cosiddetti ex comunisti (con ancora falce e martello nel simbolo) e il potere, nel 1994 in pochi mesi inventò un partito dal nulla. Fu sbertucciato, tutti pronosticarono la sua fine imprenditoriale e anche umana: Massimo D’Alema disse che sarebbe andato a chiedere l’elemosina fuori dalle chiese. Invece Forza Italia vinse le elezioni del 1994 e così nacque il centrodestra della Seconda Repubblica, come lo conosciamo oggi.

Eppure Sala dovrebbe ricordarsi tutte queste cose, visto che in Expo ha ricoperto un incarico non secondario in quota centrodestra. Ci indichi allora quale altro milanese nel secondo Novecento può vantare una simile pluralità di avventure, di successi, di snodi economici, storici e anche culturali del nostro Paese segnati dalla propria impronta. Non ce ne sono tanti, vero? Suggeriamo a Sala di tirarsi fuori con un colpo di reni dalla tifoseria di capetti del Pd in cui si è impantanato, e di tornare a fare il sindaco di Milano.


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