Sorpresa: Pasolini è stato il primo autonomista

· 23 Giugno 2024


Con questa puntata di Alta tiratura Alessandro Gnocchi, vagando fra i libri, rinfresca una notizia non ricordata volentieri – soprattutto dalla parte politica che si è appropriata più spesso del lavoro di Pier Paolo Pasolini – tanto da sembrare quasi inedita.

Sorprende che di Pasolini venga regolarmente dimenticato un aspetto che per lui era centrale: al termine della guerra è stato uno dei principali leader dei movimenti autonomisti italiani. Pasolini aveva in mente l’autonomia del Friuli, ma si era legato al Movimento Popolare, per il quale tutte le regioni italiane avrebbero dovuto essere a statuto speciale. Pasolini, come molti altri intellettuali italiani, riteneva che l’Italia fosse un insieme di regioni diverse con tradizioni diversa: la nostra storia è la storia dei liberi comuni, delle città-stato e poi delle grandi macro regioni, Lombardo-Veneto, il Regno Borbonico e così via.

Pasolini non rinnegò mai questa idea. Nel suo ultimo discorso pubblico, una conferenza tenuta a Lecce a fine ottobre del 1975, due settimane prima di morire, disse: all’inizio degli anni 60 l’Italia aveva ancora una cultura pluralistica, cioè innanzitutto romana, friulana, veneziana, lombarda, piemontese. La cultura italiana era una vera e propria astrazione, imposta dall’alto dai piemontesi con l’Unità. Lo stesso vale per la lingua letteraria. Fu imposto il fiorentino illustre perché aveva una ricca tradizione, la quale tradizione letteraria non ha nulla a che fare con la lingua parlata. Quel poco che sopravvive della cultura pluralistica è condannata all’estinzione.

Il vero problema, continua Pasolini, non è tanto il fatto che ci sia un pluralismo linguistico e culturale. Il vero problema è che questo pluralismo linguistico e culturale tende a essere distrutto e omologato attraverso quel genocidio di cui parla Marx e che viene compiuto dalla civiltà consumistica che ha un grande strumento di diffusione, che è la tv, e anche la scuola.

Poi l’affondo più inatteso, per chi pensa che Pasolini abbia militato tutta la vita nel partito comunista, dal quale invece fu espulso subito dopo essersi iscritto: l’insegnamento o la protezione del dialetto o è diventato un fatto di tradizionalismo, di conservatorismo che considero perfettamente sano, per la ragione che esiste una destra sublime, oppure dovrebbe diventare profondamente rivoluzionario. Qualcosa come la difesa della propria lingua per i paesi baschi deve arrivare al limite del separatismo, che sarebbe una lotta estremamente sana, perché non è altro che la difesa di quel pluralismo culturale che è la realtà della nostra cultura. Ecco, questo è Pasolini che non vi fanno leggere a scuola. Per Pasolini l’autonomismo era un modo non solo di essere fedele alla storia d’Italia, ma anche di dare alle popolazioni gli strumenti giusti, legati al territorio, per favorire il progresso. Esistono articoli scritti da Pasolini già negli anni ‘40 in cui Pasolini rimproverava al partito comunista di voler essere un partito nazionale e non italiano.

Questi fatti (e altri dettagli che potete ascoltare direttamente da Gnocchi nella puntata di Alta tiratura) vengono omessi abbastanza spesso nelle biografie del pensatore friulano, con la scusa che negli ultimi anni fosse un uomo disperato. Ma è falso: andate a sfogliare il suo ultimo libro, “La nuova gioventù”, che Pasolini ha considerato il suo testamento spirituale (con varie poesie in friulano), in particolare la poesia “Saluto e augurio”, e vi accorgerete quanto brulica di vita e di idee.


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