MicroMega a sorpresa: la Cina dovrebbe copiare Taiwan

· 19 Giugno 2024


Con Fabrizio Amadori (blogger, saggista), una chiacchierata su Cina e Taiwan. L’oceano che separa i due Paesi si chiama democrazia: lo denuncia perfino la storica rivista MicroMega nel suo ultimo numero, in libreria in questi giorni, proprio a firma Fabrizio Amadori.

Gli abitanti di Formosa sono cinesi a tutti gli effetti, parlano il mandarino cinese, ma sono in possesso di un requisito che li differenzia profondamente dai cinesi continentali: la loro è una democrazia progredita, sono democratici, amano la democrazia. E ovviamente non vogliono fare la brutta fine di Hong Kong. Pechino rivendica l’identità tra le due parti, ma i due popoli vivono una consapevolezza radicalmente diversa. I motivi identitari sbandierati dal governo di Xi Jnping sono destituiti di ogni fondamento. Pechino ama atteggiarsi a potenza comunista, per questo si sente nel diritto di pretendere la non ingerenza occidentale sui suoi rapporti con Taiwan (nonché con il Tibet, il genocidio degli Uiguri, i Lao Gai). In realtà quello della Cina continentale è un capitalismo autoritario (modello Singapore) mascherato da comunismo.

Paradossalmente la Cina di Pechino dovrebbe essere lei, se vuole riunificarsi a Taiwan, a promulgare un referendum interno (credibile) per chiedere ai propri cittadini quale forma di governo preferirebbero. Essendo una dittatura ovviamente non lo può fare. Anche per questo motivo non esistono ragioni, per quanto remote dalla democrazia, che abbiano anche solamente una parvenza logica per cui Pechino possa pretendere che Taipei modifichi il proprio sistema politico. Se finora la Cina non si è ancora decisa a scelte aggressive è solo perché teme che il prezzo sia troppo alto.

Nell’area asiatica Giappone, Filippine, alcuni Paesi dell’Indocina, la Corea del Sud non gradirebbero, mentre gli Stati Uniti non potrebbero subire passivamente una spallata in un’area come quella del Pacifico. Allo stesso tempo, però, il pianeta sembra attraversato da regressione democratica, come si è visto nel generale disinteresse rispetto a quanto accaduto tra Cina e Hong Kong (in un quadro comunque diverso), il che potrebbe suggerire al regime di Pechino di prendere tempo, aspettando che gli attuali tassi di crescita economica (un po’ a singhiozzo) e militare portino a marginalizzare gli Usa e consentano di comportarsi con Taiwan come la Russia sta facendo con l’Ucraina (la formazione sovietica non è estranea né a Mosca né a Pechino). Taipei, quindi, può solo sperare che la Cina venga attraversata da un terremoto politico in chiave democratica.


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