Il vero senso della telefonata Salvini-Trump

· 5 Giugno 2024


No, non è solo una telefonata. Non a una manciata di giorni dal voto europeo, non con sullo sfondo le elezioni per eccellenza del mondo libero, la partita per la Casa Bianca che in questo caso è la partita tra due Americhe, quella di Biden e quella di Trump. No, quella odierna tra quest’ultimo e Matteo Salvini non è solo una telefonata, è un atto politico che, come tutti quelli autentici, ha il pregio della chiarezza.

Il segretario della Lega è l’unico leader del centrodestra che fa una scelta di campo netta dentro il grande romanzo elettorale americano, e la fa dalla parte del Partito Repubblicano. Non credete troppo al copia&incolla del Giornalista Collettivo, non è vero che The Donald ha snaturato alla radice il glorioso Gop, piuttosto ne ha recuperato alcuni filoni che erano finiti sotto traccia (su tutti, un certo realismo nixoniano e un certo pragmatismo negoziale rooseveltiano, ma nel senso di Theodore, non di Franklin Delano). Ma non facciamola lunga, non perdiamoci nella politologia, stiamo alla politica: con la telefonata “molto cordiale” di oggi, l’annuncio di un incontro fisico in estate e la solidarietà espressa per “le vicende giudiziarie”, Salvini ribadisce che il trumpismo non è un fenomeno estemporaneo, un rodeo folkloristico dell’America profonda, ma è l’unica agenda seria per un liberal-conservatore contemporaneo. La battaglia decisiva, “esistenziale” si direbbe negli Usa, contro il Wokismo, contro la follia del senso di colpa eretto a ideologia, della rinuncia alla nostra identità e alla nostra cultura, dell’odio di sé. Qualunque occidentale non sia pronto a smaltire l’Occidente nell’ indifferenziata della storia, deve tifare Trump, anche solo per esclusione (i suoi avversari hanno solidi addentellati in quei campus dove si inneggia ad Hamas, per capirci). La pace in Europa ripristinata con un saggio utilizzo della forza, con tutta la potenza della deterrenza americana, che solo Trump ha mostrato di saper esercitare con efficacia (citofonare Vladimir Putin, il quale nei quattro anni del tycoon non ha mosso un carro armato). La questione di tutte le questioni, un rapporto minimamente lucido col Dragone cinese e con l’offensiva imperialista che ha lanciato da tempo su scala globale. Il che significa non accettare le premesse imposte da Pechino, rispondere alla concorrenza sleale di un gigante che di fatto pratica lo schiavismo con dazi di civiltà, dazi che proteggono il mondo libero, non che lo sbaraccano. E a cascata lotta al dogma dell’elettrico e alla de-industrializzazione selvaggia dell’Occidente, che significa anche (forse soprattutto) lotta al gretinismo, all’ideologia ecotalebana che si sta divorando qualunque ambientalismo ragionevole, e che vuole trascinarci a zero emissioni, zero produttività, zero vita.

Ce ne sarebbero anche altri, ma ci pare che questo dedalo di motivi economici, geopolitici, culturali sia più che sufficiente per realizzare che Donald Trump non è per forza il comandante in capo che ci meritavamo, ma è sicuramente quello di cui abbiamo bisogno. Un bisogno dannato, appunto, esistenziale. Un solo politico, nel guazzabuglio italico, lo afferma chiaramente. Ognuno faccia i propri conti.


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