Gaza “occupa” il festival di Venezia (e zitti su Hamas)
Alessandro Gnocchi · 7 Settembre 2025
In questa puntata di “Alta tiratura”, Alessandro Gnocchi, inviato al Festival di Venezia per Il Giornale, racconta come tutta la kermesse sia stata permeata dalla retorica ideologica filo-palestinese. Il corteo pro-pal che ha attraversato il Lido fino ad arrivare davanti al Palazzo del Cinema è stato umiliante per l’Italia: perché un conto è la protesta e mettere in discussione ciò che Israele sta facendo a Gaza, cosa perfettamente lecita, ma altro conto è fare una sfilata dove si prende come principale slogan della manifestazione uno slogan di Hamas, guardandosi bene dal nominare il gruppo terrorista: “Venezia sa come bisogna fare, Palestina libera dal fiume al mare”, cioè dal Giordano al Mediterraneo. Solo che in mezzo ci sarebbe Israele, che Hamas, l’Iran e altri Stati non molto raccomandabili vorrebbero cancellare.
A questa manifestazione c’erano circa 5mila persone, che non sono affatto poche, soprattutto a Venezia che è una città difficile, a fare gli utili idioti di un’associazione terroristica come Hamas. Poi ci sono stati altri giorni di protesta “normale”, e anche qui sono venute fuori delle magagne: per esempio il primo giorno è stato fatto un appello firmato da 1.500 persone, fra le quali vari nomi noti, poi è saltato fuori che l’appello era truffaldino, perché a queste persone non era stato detto che lo scopo era escludere dal red carpet l’attrice israeliana Gal Gadot. La quale ha fatto poi sapere che non sarebbe venuta. È stato avvilente vedere che avevano firmato per fretta di essere conformisti, per poi tornare sui loro passi e dissociarsi.
Poi c’è stata la proiezione di “The Voice of Hind Rajab”, un film tunisino ambientato a Gaza basato sulla storia di una bambina che ha perso tutta la famiglia e di un’ambulanza della Mezzaluna rossa che non riesce ad andare a salvarla perché è bloccata dalla burocrazia delle autorizzazioni per avere un percorso sicuro. Il film ha fatto molto discutere, anche perché le telefonate della bambina nel film sono autentiche e la regista tunisina è un’esperta di documentari e il film ha un taglio documentaristico. È una pellicola interessante perché non ci sono pagine programmatiche, non ci sono appelli, è una storia nuda e cruda. E il protagonista potrebbe essere stato anche, a parti ribaltate, uno dei bambini trucidati il 7 ottobre 2023 dagli attivisti di Hamas.
Diversa è stata la conferenza stampa con la quale è stato presentato il film, dal cast stesso: come in tutti i in dieci giorni di manifestazione in cui si è parlato costantemente di Palestina, non sono stati nominati, mai una volta, Hamas né il 7 ottobre, e neppure che anche i bambini israeliani uccisi sono vittime innocenti. Israele è stato evocato solo per citare il suo esercito: nessuno ha parlato della società civile di Israele, dove ci sono molte persone che non sono d’accordo con la politica di Netanyahu, sia di destra sia di sinistra. Insomma, c’erano due convitati di pietra: Hamas e Israele.
Ecco l’inghippo ideologico, il festival è stato istruttivo su come funzionano certe logiche. Incluso il fatto che su alcuni red carpet abbiamo visto oggetti extralusso, per esempio le borse, con cucita sopra la bandiera della Palestina. Un misto di glamour, di strage, di intrattenimento e di bombardamento che lascia senza respiro. È diventato di gran moda il salvaschermo dell’iPhone con la bandiera della Palestina, moda lanciata dall’attore Michele Riondino che ha presentato il film “La Valle dei Sorrisi”, che non era in concorso. E s’è visto tutto un fiorire di kefiah al collo, con 30 gradi e non una bava d’aria. Perché sui red carpet è difficile distinguere l’impegno e la moda, e questo mette sul tavolo delle problematiche morali che i nostri protestatari non crediamo si siano posti.