Guadagnino e Julia mettono alla berlina il woke

· 31 Agosto 2025


In questa puntata di “Alta tiratura”, Alessandro Gnocchi, inviato per Il Giornale al Festival di Venezia, racconta un film sorprendente, “After the Hunt” di Luca Guadagnino, con protagonisti Julia Roberts e Andrew Garfield. Si tratta di un film che entra nell’attualità perché mette alla berlina il mondo delle università americane Ivy League, in particolare Yale, che di recente è stata attaccata duramente anche dal presidente Usa Donald Trump, il quale ha sostanzialmente detto: se volete portare avanti le vostre istanze woke/politicamente corrette, non lo farete a spese dei contribuenti, non con i fondi che lo Stato vi riserva, una posizione che ha fatto molto discutere.

Il film di Guadagnino si svolge in un dipartimento di filosofia in cui regna il politicamente corretto nella sua espressione peggiore: professori o aspiranti che discettano di filosofia francese, di costruttivismo, la corrente che fa capo a Derrida e a Foucault e sostiene che il linguaggio è uno strumento di potere nelle mani del maschio bianco eterosessuale, per cui se si vuole cambiare la società è necessario innanzitutto decostruire il linguaggio mostrando che è uno strumento di potere. Dai dialoghi scritti da Guadagnino e dai suoi sceneggiatori si capisce che è stato decostruito fin troppo: il tema di oggi infatti sarebbe la ricostruzione, non la decostruzione che ha portato a mettere in dubbio qualunque cosa, a indicare come colpevole ogni parola, causando la perdita di ogni punto di riferimento generale.

Viene quindi messo alla berlina un mondo morale dove tutti si immaginano discriminati per qualcosa e chiedono a gran voce la cancellazione delle disuguaglianze, senza rendersi conto che questa richiesta deraglia nell’eliminazione di ogni forma di diversità e nell’omologazione più totale. È un’idea di società ovattata e totalitaria, il disegno di un mondo perfetto per noi, per le nostre idee, allo scopo di non essere turbati dalle idee altrui. Il film denuncia anche il mondo politico, che piega il diritto alla legge non scritta dei diritti, il MeToo, la stampa che asseconda il delirio delle rivendicazioni in cambio di qualche titolo scandalistico e per ammantarsi di progressismo.

“After the Hunt” è un film che lascia stupiti per la sua profondità e per il fatto che è difficile immaginare un regista italiano che abbia il coraggio, la forza di imporre un’opera simile, con un cast e una produzione internazionali. A Venezia si sono sentiti anche cinefili insoddisfatti perché è tutto un film di parola, ma è un bene, è una tragicommedia che si svolge prevalentemente in appartamenti, con un mistero di fondo. È cinema di parola anche quello di Woody Allen… 

Non mancano riferimenti alla letteratura, spiega Gnocchi: viene in mente il grande romanzo di Philip Roth contro il politicamente corretto “La macchia umana”, scritto prima che la questione diventasse di moda, con il quale il film ha vari punti di contatto, a partire dalla denuncia di alcune studentesse universitarie per molestie contro un docente; oppure “Io sono Charlotte Simmons” di Tom Wolfe – anch’esso criticato perché perché denunciava il mondo delle università americane – in cui lo scrittore svela come il politicamente corretto diventi discriminazione e generi una nuova catena di anomalie, fino al punto che quando ci si ribella si finisce per reagire in maniera sbagliata, si aggiunge errore a errore.

Per fare tre, fra i libri di una mini-biblioteca di genere si può aggiungere “La chiusura della mente americana” di Allan Bloom, un saggio degli anni Ottanta che fece scalpore, in cui l’autore, che era un filosofo di Yale, criticava il fatto che gli atenei americani importassero la filosofia francese di cui abbiamo detto qui sopra, e sosteneva la necessità di tornare ai classici, perché sono quelli a insegnare che cos’è l’umanità.


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