Il riarmo di Ursula è un bluff: stiamo con la Nato
Giovanni Sallusti · 25 Giugno 2025
Cari ascoltatori, oggi forse è il caso di ripetere un’ovvietà: tendiamo a fidarci più della Nato che di Ursula von der Leyen. La cronaca di queste ore racconta che al summit dell’Alleanza Atlantica – dove sul tavolo c’è l’istanza americana di richiesta ai Paesi europei di aumentare le loro spese militari per contribuire con decoro alla sostenibilità della Nato – si mischiano le velleità europee che si condensano nel folle progetto Rearm Europe, ricordate, quello degli 800 miliardi di euro.
Per fare chiarezza: a garantire all’Italia e all’Europa 80 anni di pace e prosperità (e sta continuando) è stata la Nato, con buona pace della vulgata dei fondamentalisti eurocratici, secondo la quale a garantire il nostro benessere sarebbe stato il processo di unificazione europea. Giusto una postilla: all’Unione sovietica il processo di unificazione europea faceva il solletico, mentre l’esposizione militare americana no, e a sostenere l’equilibrio durante la Guerra fredda sono stati solo i missili Usa che bilanciavano i missili sovietici puntati sulle nostre capitali, Roma compresa. Vinta quella guerra, franato il muro di Berlino e crollato il comunismo, la Nato ha poi garantito ai Paesi europei, Italia inclusa, di far parte dell’alleanza militare di gran lunga più robusta della storia, una potente deterrenza verso dittatori, criminali, canaglie globali varie.
È così che a un certo punto è emersa l’odierna contraddizione strutturale, che non ha inventato Donald Trump: il primo presidente americano a definire scrocconi gli alleati europei, che salivano sul bus della difesa senza pagare il biglietto, è stato Barack Obama, l’idolo del mainstream progressista globale. Una sproporzione contabile, oltre che tecnologica e militare, che era già stata sottolineata via via da tutti i presidenti Usa degli ultimi decenni, perché dopo il crollo del Muro è diventato sempre più difficile convincere il contribuente americano a mantenere da solo l’Alleanza atlantica. Ognuno deve contribuire in proporzione al suo peso, è normale.
A noi conviene rimanere nel legame transatlantico, far parte di un’alleanza che scoraggia qualunque canaglia globale a prendere iniziative contro l’Europa e che è a tutt’oggi ancora la miglior garanzia di libertà. Il Rearm Europe è un’altra cosa già nelle intenzioni dei suoi promotori, cioè la Commissione europea a guida von der Leyen e i due Paesi ancora convinti di esserne l’asse, Francia e Germania: nella retorica, si propone come l’autonomia strategica dell’Europa rispetto all’America, insinuando che per la deterrenza militare si può fare perfino a meno .
È una tesi che militarmente fa ridere, ma che è funzionale a due istanze che non c’entrano nulla con l’Italia e che vanno anche contro i nostri interessi nazionali: una è la velleità imperialista, tardo-bonapartista della Francia, incarnata in modo parodistico dal presidente Emmanuel Macron. L’altra è l’esigenza tedesca di riqualificare le proprie filiere industriali devastate dalla follia del green deal, con decine di migliaia di posti di lavoro persi da colossi tedeschi come Continental e Volkswagen: tant’è che Volkswagen ha esso a disposizione i suoi stabilimenti per la produzione di carri armati tedeschi.
Ream Europe è uguale a riarmo franco tedesco, cosa che, soprattutto per quello tedesco, evoca fra l’altro ricordi che sui libri di storia non sono riportati come edificanti. Il trucco di lor signori è di sovrapporre i due temi, che però sono completamente slegati: aumentare ragionevolmente il nostro contributo alla Nato è nell’interesse nazionale italiano, dare il via a una nuova follia come il Rearm Europe al servizio dell’imperialismo francese e della rinascita industriale del riarmo tedesco, invece no. È semplice.