Se il voto in Polonia conta meno di quello in Romania

· 3 Giugno 2025


Cari ascoltatori, questa sera giochiamo a riepilogare l’alfabeto del politicamente e giornalisticamente corretto: ci sono elezioni ed elezioni, ci sono Paesi europei e Paesi europei, ci sono Paesi dell’Europa dell’Est e Paesi dell’Europa dell’Est. Non sono tutti sullo stesso piano. Il discrimine è se gli elementi di cronaca si incastrano o meno nella narrazione gradita a lor signori. Facciamo una banalissima analisi comparata.

Elezioni presidenziali in Romania: al secondo turno vince il fronte europeista, dopo aver un filo stravolto il meccanismo democratico, visto che è stato impedito al candidato Calin Georgescu di presentarsi ed è stato anche arrestato, mentre lo sconfitto, di ispirazione sovranista, ha chiesto di annullare le elezioni lamentando irregolarità. Insomma, non è stato un voto sereno, ma la vittoria dello schieramento più europeista è stato salutato sui giornaloni come il segnale da est del rinascimento dell’Europa, con il popolo giusto che ha l’idea giusta ed elegge il presidente giusto.

Poi ci sono state le elezioni presidenziali in Polonia, dove non è andata come volevano lorsignori, nonostante il sogno di alcuni, tipo Paolo Gentiloni, che si era sbilanciato nottetempo con una dichiarazione che dava vincente il candidato gradito all’establishment eurocratico, uscita anche su Repubblica e poi precipitosamente corretta sul sito. Ha vinto infatti il candidato conservatore Karol Nawrocki, sovranista ed euroscettico: in questo caso la notizia è stata data per pura esigenza di cronaca, come un errore dell’elettorato polacco. Repubblica ha descritto così Nawrocki: “Box, storie e prostitute: chi è il trumpiano eletto alla presidenza polacca”. Salvo poi scoprire che è laureato in Storia all’università di Danzica, che ha un master in business administration, che ha lavorato presso l’Istituto della memoria nazionale, è stato nominato direttore del Museo della Seconda guerra mondiale di Danzica, è co-autore di libri e articoli sull’opposizione anticomunista.

Capite allora che uno così al mainstream non serve, non può segnare alcun rinascimento, è un errore della storia e della dinamica democratica, che è sempre sbagliata quando produce un esito sgradito. Eppure, va ricordato, il peso geopolitico, storico, simbolico della Polonia non è certo inferiore a quello della Romania: la Polonia è stata il crocevia delle tragedie del ‘900, ha visto i totalitarismi nazista e comunista, e oggi è il primo fronte con la Russia, quindi a maggior ragione lorsignori allarmati dal neoimperialismo putiniano dovrebbero tenerla in grande considerazione. Niente da fare, la Romania è il paradigma che spiega la contemporaneità, la Polonia non conta nulla. E ancora c’è chi li chiama analisti, giornalisti, invece che con il loro nome: propagandisti.


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