Alla Cgil 50mila posti di lavoro fanno schifo
Giovanni Sallusti · 29 Maggio 2025
Cari ascoltatori, non c’è niente da fare. A Maurizio Landini e alla Cgil contemporanea il lavoro proprio non piace, figurarsi la creazione di posti di lavoro: la vedono come la peste. Questo è l’ossimoro definitivo sulla missione sociale e storica che dovrebbe avere un sindacato, e l’ultima notizia ne è l’apoteosi: la Cgil ha preso carta e penna e ha scritto alla Commissione europea per fermare il ponte sullo Stretto di Messina, cioè per fermare un’infrastruttura strategica che porterà molti posti di lavoro in una zona che ha un gran bisogno di occupazione e che soffre di un non pieno sviluppo economico.
La lettera è stata indirizzata al commissario Ue per l’Ambiente (neanche per il lavoro, per carità, guai ad avvicinarsi) Jessika Roswall, e vi si legge: “Gentile commissaria, la Cgil desidera sottoporre alla sua attenzione le gravi criticità tecniche, ambientali, normative e sociali connesse all’iter di approvazione del progetto recentemente trasmesso alla Commissione”, cioè quello del ponte. Non viene fatto cenno al fatto che questa grande opera (di cui in Italia si parla dagli anni ‘60, e al quale tutti gli storici leader della sinistra si dichiararono favorevoli), secondo uno studio realizzato da Uniontrasporti con la consulenza tecnico-scientifica di OpenEconomics, genererebbe quasi 37mila posti di lavoro stabili. E, contando l’innesco di posti di lavoro a tempo determinato nell’indotto, si arriverebbe a 50mila.
Ma nei pensieri e nella preoccupazione espressa nella lettera della Cgil, 50mila posti di lavoro trovano spazio zero, cioè per il principale sindacato italiano non sono un argomento. Tra l’altro, ci sono molti dati che dimostrano chiaramente la virtuosità economica dell’opera: gli investimenti sono 9 miliardi circa a fronte di benefici per circa 11, quindi con un risultato netto di 1,8 miliardi a favore; ed è prevista una ricaduta positiva sul Pil di ben 23 miliardi.
E invece per la Cgil questi numeri sono bazzecole: piuttosto mette sul piatto le paranoie woke, le questioni ambientali, i dettagli burocratici. Nella missiva viene infatti “chiesto un apposito incontro per meglio chiarire tutti gli aspetti” e si sottolinea che “il progetto non soddisferebbe le stringenti condizioni previste per la deroga alla direttiva habitat in materia ambientale”; il progetto “riporterebbe inoltre una valutazione ambientale incompleta e viziata”. Insomma, la Cgil, in nome dell’eco-talebanesimo woke, si oppone a una grande opera necessaria al Paese che innescherebbe 50mila nuovi posti di lavoro. È una nuova versione del collateralismo del sindacato rosso rispetto ai partiti della sinistra; ma almeno una volta fingeva di parlare di lavoro, di salario, di condizioni dei lavoratori, oggi è un collateralismo sulle paranoie woke. A questi signori, ormai dichiaratamente, del lavoro non importa più una cippa.