I compagni per Wall street, Trump per i lavoratori
Giovanni Sallusti · 30 Aprile 2025
Cari ascoltatori, questa sera inviamo un messaggio, che è il seguente: cari compagni, se volete capire Donald Trump dovete tenere presente un luogo chiave della sua narrativa e della sua azione politica, e questo luogo è la fabbrica: dovrebbe esservi caro, visto che domani celebrerete il rito sindacalese del concertone. Ebbene, ben al di là della vostra retorica, il lavoro è un tema vero: è ciò che connota l’umano, il benessere delle società. Voi del lavoro domani farete una rappresentazione ideologica, ma almeno nominalmente lo considerate ancora un tema dirimente: perché dunque non vedete che la fabbrica e il lavoratore sono il luogo e il tipo umano con cui va interpretata l’azione di Trump, e non gli indici di Wall Street?
Diciamo questo perché nelle ultime ore abbiamo assistito a un bizzarissimo fenomeno, già segnalato nelle settimane scorse, quello dei “compagni per Wall Street”: le sinistre mondiali, i progressisti di entrambe le sponde dell’Atlantico hanno fatto ormai degli indicatori di Wall Street una sorta di idoli, di feticci per dimostrare il fallimento delle politiche economiche di Trump. Oggi si registra un calo di Wall Street e l’indice del primo trimestre è negativo, situazione che Trump addebita in gran parte a Joe Biden e con delle ragioni, visto che ha preso le leve del governo solo il 20 gennaio; quantomeno si può dire che c’è una corresponsabilità.
Invece, sui giornaloni, Wall Street quando va su finisce in una notizia breve e nascosta, quando va giù è usata per stroncare la politica economica di Trump. Provate così, se volete capire il presidente Usa: abbandonate Wall Street e guardate dove ha tenuto il discorso per i primi 100 giorni, nella contea di Macomb, nel cuore del Michigan industriale, uno degli Stati decisivi per la sua vittoria alle presidenziali e baricentro anche simbolico della sua azione e della sua filosofia, la cui sintesi è l’imperativo di reindustrializzare l’America. Trump ha in mente quel pubblico di lavoratori, di piccoli imprenditori, di artigiani, ed è su di esso che si dovrà misurare se avrà avuto successo o no.
Queste sono alcune frasi chiave del suo discorso: “Dopo decenni in cui i politici hanno distrutto Detroit per costruire Pechino, finalmente avete un paladino dei lavoratori alla Casa Bianca: io metto il Michigan al primo posto e l’America al primo posto”. Trump sta dicendo che per decenni la classe dirigente americana ha sostenuto una globalizzazione asimmetrica, sbilanciata, che ha fatto gli interessi di chi poteva praticare la concorrenza sleale, in primis il Dragone cinese.
Questa politica ha costruito Pechino e ha distrutto il lavoro americano, la fabbrica americana, l’industria americana. La contro-narrazione di Trump è ben più evoluta della caricatura che ne viene fatta: quella sui dazi, che nella visione di Trump sono strumentali e non un fine, grazie ai quali mira a tagliare drasticamente la tassazione sui redditi fino a 200 mila dollari, e anche quella sui massicci tagli fiscali e sulla deregolamentazione a favore delle aziende. Tutte cose che in Europa vengono capite molto poco, perché non ci appartengono culturalmente, ma presso quel pubblico americano hanno un senso, fanno breccia.
Trump ha anche confermato che nei prossimi 18 mesi nel Midwest apriranno 50 impianti produttivi nuovi o riattivati, perché molte industrie stanno rilocalizzando in America: “Per anni vi hanno detto che era finita, che dovevate rassegnarvi alla disoccupazione e al degrado: noi diciamo di no, la Rust Belt tornerà a essere il cuore dell’America produttiva”. Questa è l’ossatura del trumpismo, piaccia o meno: l’idea che è stato folle pensare l’America e l’Occidente solo come luogo di mero consumo, e che è ora di riportare lavoro e produzione in America e in Occidente.
Chi domani farà retorica sul tema del lavoro e dei lavoratori, un pensierino lo dovrà pur fare su tutto questo, e magari distogliere un attimo l’occhio dall’indice di Wall Street, finalmente guardare la grande partita dell’economia reale.