Blackout spagnolo, green addio. Serve il nucleare

· 30 Aprile 2025


Cari ascoltatori, il blackout che ha colpito la Spagna, il Portogallo e un pezzo di Francia meridionale è stato anche il blackout del dogma delle magnifiche sorti e progressive garantite dall’energia prodotta da fonti rinnovabili. È l’ennesima conferma che quando si affrontano materie come la politica e la tecnica energetica è meglio non inventarsi una fede apposita: il dogma a che fare nel migliore dei contesti con la religione e nel peggiore dei casi con la superstizione, non con altro.

Oggi lo spiega molto bene il Giornale, con un editoriale di Gianclaudio Torlizzi, editorialista ed esperto di commodity, di materie prime e di energia. Torlizzi, partendo dal caso spagnolo, seziona il mito e la superstizione sulle energie rinnovabili senza cadere nel suo opposto, cioè in una demonizzazione, riportando alla realtà l’accaduto e analizzando le prospettive della politica energetica europea.

Torlizzi fa notare una curiosa coincidenza: la Spagna una settimana fa aveva celebrato il traguardo storico del 100% della sua energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, con grandi celebrazioni all’insegna dell’ecologismo ideologico e con grande entusiasmo del governo socialista di Pedro Sanchez.

Poi è arrivato questo gigantesco blackout. Torlizzi, sotto il profilo tecnico, ricorda che la Spagna prevede di produrre il 78% della sua energia da solare ed eolico, l’11,5% da nucleare e appena il 3% da gas, ma questo investimento troppo sbilanciato sulle fonti rinnovabili ha generato una vulnerabilità strutturale nel sistema: in breve, di fronte a bruschi cali come quello avvenuto in Spagna, serve un sistema di turbine tradizionali, garantite dall’energia nucleare o dai vecchi combustibili fossili, perché i pannelli solari e le pale eoliche da sole a far ripartire il sistema non ce la fanno.

Qual è la considerazione politica, anche più generale, che se ne può trarre? Anzitutto è meglio sgombrare dalle mitologie questo terreno troppo delicato e troppo decisivo, anche geopoliticamente, per muoversi all’insegna di ossessioni come da lustri fa il pensiero progressista sulle rinnovabili: Torlizzi non demonizza quelle fonti di energia, ma rileva che la loro egemonia è alla base della crisi spagnola.

E l’Italia? È messa anche peggio, perché perlomeno la Spagna prevede un 11,5 per cento di energia nucleare, che l’Italia al momento non ha e si trascina da lustri un “no” ideologico e fuori tempo massimo, in particolare perché la tecnologia oggi consente di accedere a un nucleare moderno e pulito. Da questo punto di vista il governo di centrodestra sembra avere le idee chiare: recentemente ha incardinato in Consiglio dei ministri una legge-delega che dovrebbe aprire il percorso del ritorno dell’energia nucleare, nella sua declinazione pulita e all’avanguardia.

È stato un primo passaggio, ma epocale, perché prevede una mappatura delle vecchie centrali, un piano di smaltimento dei rifiuti, uno sullo sviluppo e sulla ricerca, un’autorità indipendente che certifichi la qualità delle nuove centrali. Recentemente il ministro Matteo Salvini ha ribadito che è anacronistico non sdoganare il grande tema dell’energia nucleare, anzi è un cortocircuito, perché gli ambientalisti si oppongono al fossile e anche a una delle principali alternative.

L’analisi di Torlizzi sottolinea come sia importantissimo mantenere una pluralità di fonti di energia: “La transizione energetica non è una corsa verso un traguardo ideale, ma un percorso irto di ostacoli tecnici e politici. L’Europa deve investire in fretta in batterie, in reti intelligenti, in una diversificazione delle fonti che non demonizzi il nucleare, né escluda i fossili come soluzione di transizione”. Zero ideologia, molta concretezza, pluralismo delle fonti energetiche: altrimenti in blackout ci finiremo tutti.


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