La wokata della Corte: dire padre e madre è omofobia
Giovanni Sallusti · 9 Aprile 2025
Cari ascoltatori, apprendiamo che una delle ultime centrali rimaste in piedi del woke, dell’ideologia politicamente corretta tinta di arcobaleno, è la Corte di Cassazione. Infatti oggi ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno contro la decisione della Corte d’Appello di Roma che disapplicò il decreto ministeriale del Viminale del gennaio 2019 (ministro era Matteo Salvini), con il quale erano stati eliminati i termini orwelliani “genitore 1, genitore 2” e ripristinati sulla carta d’identità quelle due parole che connotano l’umanità e la sua evoluzione dalla notte dei tempi: padre e madre, due parolacce per lor signori.
Secondo la Cassazione, invece, l’indicazione di padre e madre sulla carta d’identità è discriminatoria, “perché non rappresenta le coppie dello stesso sesso che hanno fatto ricorso all’adozione in casi particolari. In questo caso non si garantisce la rappresentazione di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei corretti rapporti di filiazione”. Un legalese politicamente corretto che di fatto ripristina “genitore 1, genitore 2”.
Però, visto che è una sentenza fatta in nome dei diritti delle coppie omogenitoriali che hanno adottato “in casi particolari”, quindi a tutela di una minoranza, vediamo come l’enciclopedia Treccani definisce “omogenitoriale”: “Detto di famiglia in cui il ruolo di genitori è svolto da una coppia di persone appartenenti allo stesso sesso”. Cioè da due padri o da due madri, non da due entità disincarnate e asessuate.
Ergo – fatti salvi i diritti che vanno assolutamente difesi in quanto diritti individuali, e qualunque liberale non può retrocedere da questa trincea – esistono dei bambini di coppie omogenitoriali che sono due persone fisiche: o padri, o madri. Dove starebbe la discriminazione? Anzi, questa espressione andrebbe rivendicata con orgoglio. Invece no, è stata fatta una battaglia di puro linguisticamente corretto, e infatti oggi le associazioni Lgbt eccetera esultano, qualcuno pigia anche sull’acceleratore: per esempio il segretario generale dell’Arcigay Gabriele Piazzoni festeggia per la “netta bocciatura di Salvini e di Piantedosi” (che al tempo era capo di Gabinetto): “Lo diciamo da anni, Matteo Salvini, autore del decreto che impone l’indicazione obbligatoria di padre e madre, è un ministro omofobo e razzista, inadeguato a ricoprire un ruolo istituzionale”, allegando così anche la canonica richiesta di dimissioni.
Prendiamo atto che per l’Arcigay, appoggiandosi a questa sentenza politicamente corretta della Cassazione, pensare che esistano e non siano da nascondere o edulcorare le parole padre e madre, è una posizione omofoba e razzista. Per fortuna sono rimasti in pochi.