Così Flaiano spiegò gli intellettuali voltagabbana

· 7 Aprile 2025


In questa puntata di Alta Tiratura, Alessandro Gnocchi racconta Ennio Flaiano, che fra le altre cose fu un feroce critico del rapporto fra intellettuali e politica. Flaiano è sempre stato nel ristrettissimo ambiente degli intellettuali non di sinistra, è un liberale con tendenze radicali. Però conosceva un po’ tutti, e aveva visto passare da una parte all’altra una legione di scrittori e artisti che erano stati fascisti o che comunque non avevano trovato niente da ridire sul fascismo, forse per convenienza: nel dopoguerra aveva visto queste schiere transitare dalla parte del Partito Comunista, che con grande intelligenza aveva saputo attirare tutti elementi migliori di metà secolo. Flaiano non fu tra questi e mantenne uno sguardo molto disincantato sulle vicende del gotha della cultura italiana.

In un appunto del 18 febbraio 1948 ha addirittura una previsione di quello che sarebbe stato il clima di conformismo schiacciante dell’immediato dopoguerra, dove parla del problema più grave che “periodicamente gli intellettuali italiani si trovano a dover risolvere, quello dell’adesione”. “Non passa davvero a ventennio, senza che siano chiamati a firmare un programma che non li riguarda”.

insomma, la gente che firma gli appelli, e noi sappiamo che la cultura italiana è malata di appellite, lo fanno raramente per motivi culturali o per seguire realmente la causa proposta dall’appello, ma per motivi pubblicitari, per stare dalla parte dei buoni, e con il minimo sforzo possono considerarsi moralmente superiori agli altri. Poi capita che una volta affermato il programma, gli intellettuali vengano pregati di tacere o di parlare a comando: cioè mettersi a rimorchio del potere politico, il potere politico che usa gli intellettuali ma poi li comanda a bacchetta, li fa sentire parte del sistema, li chiama a ricoprire delle cariche, che però non hanno poi il potere di mettere in discussione la linea politica., I cambio devono parlare o tacere a comando.


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