La reazione a Trump? Di un’ipocrisia coi controdazi
Giovanni Sallusti · 3 Aprile 2025
Cari ascoltatori, questa mattina imperversa un’ipocrisia coi controdazi, una reazione isterica e apocalittica (di cui siamo stati facili profeti) all’iniziativa annunciata da Donald Trump in tema di politica dei dazi. Ursula von del Leyen ha dichiarato “reagiremo con forza, staremo uniti”, frasi non rassicuranti, perché è poco verosimile che l’eurocrazia possa a sostenere una guerra commerciale con l’economia più forte del mondo e che stampa la valuta globale; e poi perché dopo il “reagiremo” entrano in campo i processi decisionali europei con i tempi, i modi, le ritualità burocratiche europee. Quindi mentre Trump farà cento passi, l’eurocrazia, se si dà una svegliata, ne farà uno.
Anche i giornaloni, come previsto, si sono agitati. il Corriere della Sera: dazi per tutti, lo schiaffo di Trump. La Repubblica: dazi, la stangata di Trump. La Stampa: dazi Usa, cambia il mondo. Come se l’orco si fosse svegliato un mattino e avesse ricoperto il mondo di dazi senza un perché. Il senso invece c’è. Trump ha annunciato tariffe reciproche con i Paesi che ne emettono di analoghe sui prodotti americani, cioè sono controdazi, e neppure pienamente reciproci: “Avrei potuto farlo” ha detto Trump, “ma sarebbe stato difficile per molti Paesi, mi sono limitato a implementare delle controtariffe non totalmente speculari”.
Per esempio il 20% destinato all’Unione Europea, che è una bella mazzata, è poco più della metà del 39% che, come mostra la tabella esibita da Trump in conferenza, l’Europa impone ai prodotti made in Usa. La politica dei dazi di Trump ha l’obiettivo di riequilibrare una bilancia commerciale tutta a sfavore dei lavoratori e delle aziende americane, che lui legge come concorrenza sleale. I numeri gli danno abbastanza ragione: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio le tariffe europee si aggirano sul 5%, se si considera invece la media pesata, quella che misura i dazi in base al valore dell’import dei beni su cui gravano, si scende al 2,7%; invece negli Stati Uniti la media generale dei dazi è del 3,4% e quella ponderata è del 2,2%. Ergo, l’Unione Europea fa più protezionismo. L’esempio principe, che abbiano citato già ieri, è quello delle autovetture: negli Stati Uniti la tariffa su quelle europee è del 2,5% , mentre Bruxelles applica una tariffa del 10% sulle importazioni di auto americane.
C’è poi il ragionamento sull’Iva, che Trump ritiene distorsiva del commercio: l’aliquota media nei 27 Stati membri dell’UE è del 21%, mentre la pressoché analoga “SAFE tax” americana in media è pari al 6,6%. In più c’è uno squilibrio anche nelle regole, quei famosi dazi impliciti dell’Ue ammessi anche da Mario Draghi, per cui il ginepraio burocratico regolatorio dell’Ue grava sui prodotti anche americani molto di più di quanto avvenga all’inverso, essendo l’America un Paese burocraticamente molto meno ingabbiato.
Ecco le ragioni per cui da questa parte dell’oceano siamo immersi nell’ipocrisia. Per l’Europa oggi il giorno degli schiaffi, della stangata, perché Trump mette controdazi a quelli già in vigore in Europa sui prodotti Usa (e senza neppure pareggiarli): quelli europei però non sono schiaffi e stangata, quelli sono sacrosanti.
Sul palco nel Giardino delle Rose dove sono stati annunciati i dazi, a un certo punto al fianco di Trump è comparso un operaio di Detroit: è quella l’America che rappresenta, è la Rust belt ad averlo votato al grido di “lavoro, lavoro”, mentre Kamala Harris sfilava con Oprah Winfrey e tutte le rockstar disponibili.
Anche per questo il tasso di ipocrisia è veramente coi controdazi, perché prescinde dall’evidenza dei numeri e vive di un evidente doppiopesismo anche morale. Ma i numeri continuano a sorreggere le ragioni di Trump.