Rileggete Von Mises: il liberal-socialismo non esiste. Storia di un grande abbaglio

· 16 Marzo 2025


L’idea di un compromesso tra capitalismo e socialismo ha sempre affascinato economisti e politici. Una delle proposte più influenti è stata formulata da John Maynard Keynes nel giugno 1926, durante una conferenza all’Università di Berlino. Il testo dell’intervento, e quello della precedente Sidney Ball Lecture tenuta a Oxford nel novembre 1924, erano poi confluiti nel saggio, pubblicato come opuscolo, dal titolo: “La fine del laissez-faire” dalla Hogarth Press nel luglio 1926, dieci anni prima della sua opera più famosa: “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”.

Nell’ateneo berlinese, l’economista britannico aveva attaccato il concetto di laissez-faire, sostenendo la necessità di forme di regolamentazione sociale per correggere le inefficienze del mercato. Il capitalismo, a suo avviso, se lasciato senza controllo e libero di operare, avrebbe condotto a disuguaglianze e instabilità. Ciò in quanto il laissez-faire si basava su presupposti troppo semplicistici, in particolare sull’idea che gli individui, agendo solo per il proprio interesse, avrebbero prodotto automaticamente risultati economici ottimali. La relativa teoria, inoltre, non era neppure fondata sugli scritti originali e autentici dei grandi economisti, ma piuttosto su interpretazioni successivamente popolarizzate. La sua soluzione era pertanto quella di mantenere la proprietà privata, ma con un controllo sociale diffuso, affidato a entità semi-autonome che avrebbero agito nell’interesse pubblico.

Tale compromesso tra proprietà privata e regolamentazione era, secondo il proponente, la chiave per risolvere i problemi di squilibrio e crisi che, negli intendimenti espressi, il libero mercato non riusciva a gestire. L’ idea, in definitiva, non era quella di abbandonare il capitalismo, ma di modificarlo attraverso un sistema di regolamentazione capillare che potesse correggere le sue presunte storture. Detti meccanismi di controllo tuttavia non sarebbero stati gestiti direttamente dallo Stato, ma dai richiamati organismi indipendenti, capaci di vigilare sul funzionamento del mercato.

Intervenendo con una pertinente recensione del 1927, Ludwig von Mises, ha smontato con precisione chirurgica gli assunti di Keynes, svelando i rischi nascosti nella sua proposta e mostrando innanzi tutto come la visione prospettata non fosse affatto nuova. Soluzioni simili erano già state infatti sperimentate in Germania e in altri Paesi, senza risultati positivi. A suo parere il vero problema non risiedeva nella libertà economica, ma nell’interventismo statale che aveva causato distorsioni e crisi. Di conseguenza, i tentativi di regolamentare il mercato avrebbero finito per aggravare la situazione, invece di migliorarla.
Un altro punto centrale della critica misesiana ha riguardato la mancanza di qualsiasi riferimento al principio di laissez-passer, ossia la libera circolazione di merci e persone. Infatti, come ha riportato nella citata recensione: “Keynes, tuttavia, parla intenzionalmente solo di laissez-faire. Menziona il protezionismo solo di sfuggita (p. 26); non parla affatto della libera circolazione. È facile capire il motivo di questa sua auto-limitazione. Il protezionismo e l’ostacolo alla libera circolazione internazionale sono, senza dubbio, elementi tipicamente medievali, ma i loro risultati sono oggi già così chiaramente riconoscibili che un riformatore sociale, che combatte il liberalismo, fa bene a rimanere in silenzio su di essi. In particolare, un anglosassone che desidera opporsi al liberalismo a Berlino deve evitare di sollevare queste questioni delicate”. Per Mises, al contrario, era stato proprio l’interventismo, specificatamente il protezionismo, a ostacolare la crescita economica, generando disoccupazione e tensioni sociali, come ha poi ancora messo in luce: “Il protezionismo non è altro che un particolare caso di interventismo. Tutte le sue conseguenze sono distruttive: impoverisce i cittadini e riduce l’efficienza produttiva, oltre a fomentare conflitti tra le nazioni”.

Secondo lo scienziato austriaco, il compromesso proposto da Keynes tra proprietà privata e controllo sociale avrebbe portato a un ritorno a forme di autonomia corporativa medievali, con tutte le problematiche che ne sarebbero derivate. Inoltre, proseguendo ulteriormente all’approfondimento delle posizioni dell’antagonista, che non ha limitato solo agli effetti economici, ha pure rimarcato come l’interventismo avrebbe portato alla progressiva perdita delle libertà individuali, aprendo la strada a regimi autoritari. A tal riguardo ha scritto: “Lui che si rallegra del fatto che le persone voltano le spalle al liberalismo non dovrebbe dimenticare che guerra e rivoluzione, miseria e disoccupazione per le masse, tirannia e dittatura non sono compagni accidentali ma sono i risultati inevitabili dell’antiliberalismo che ora governa il mondo”.

Le osservazioni di Mises restano rilevanti anche nell’attuale momento storico. Le proposte di compromesso tra libero mercato e intervento statale continuano a essere avanzate con l’idea che possano garantire stabilità e giustizia sociale. Tuttavia, la storia ha mostrato come questi compromessi abbiano portato all’opposto, limitando la libertà economica e causando crisi e instabilità. Il XX secolo offre numerosi esempi di Paesi che, abbandonando il laissez-faire, hanno vissuto periodi di crisi profonde, disoccupazione e, in molti casi, la nascita di regimi autoritari.

Inoltre, come ha anche ricordato, non si può separare la libertà economica da quella politica e sociale: “Il mondo oggi – ha più volte sottolineato – è malato precisamente perché per decenni le cose non sono state regolate tramite questa massima”. Ogni intervento nel mercato, anche se motivato da buone intenzioni, finisce per minare l’iniziativa privata e limitare le opportunità di crescita e prosperità: “L’interventismo – ha pure evidenziato – non può essere un sistema economico permanente. Ogni misura di intervento crea inevitabilmente condizioni che la rendono insostenibile, richiedendo ulteriori interventi fino a che non si arrivi al controllo totale”. I suoi esiti finali sono sempre gli stessi: crisi economiche, povertà diffusa e una progressiva perdita di libertà.

In conclusione riflettere sulle parole di Mises oggi significa comprendere che i compromessi tra libertà economica e controllo sociale non portano a una maggiore giustizia, ma solo alla ripetizione degli errori del passato. La prosperità duratura non può esistere senza un mercato libero e senza fiducia nelle capacità degli individui di gestire le proprie scelte economiche. Ogni tentativo di regolazione, come quello proposto da Keynes, rischia di soffocare la libertà e aumentare l’instabilità, come ha anche ammonito ancora il pensatore liberale: “L’interventismo genera distorsioni economiche che richiedono, a loro volta, nuovi interventi, trasformando gradualmente la libertà economica in controllo statale”.


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