Occhio Ursula: perseverare (con Trump) è diabolico
Giovanni Sallusti · 23 Luglio 2025
Cari ascoltatori c’è un detto che, applicato a Ursula von der Leyen, è tornato prepotentemente moderno, “errare è umano, perseverare è diabolico”. La presidente della Commissione europea oggi ha fatto sapere di essere prontissima alla guerra commerciale contro gli Stati Uniti d’America: è come se noi fossimo prontissimi a salire sul ring contro Mike Tyson, peraltro dopo avergli demandato per decenni la nostra difesa: se l’Europa è inserita nella più formidabile alleanza militare della storia che ha una capacità di deterrenza ineguagliabile, cioè la Nato, lo deve agli Stati Uniti. E tutto mentre l’Europa solleva lo spettro della Russia, che è una minaccia esistenziale per l’Europa molto più che per gli Usa, per cui avrebbe senso rinforzare il legame transatlantico, non il contrario.
Il Financial Times ha fatto trapelare che sarebbero in corso trattive per dazi reciproci al 15%, confermando la validità del metodo Trump, ma poco prima Ursula aveva fatto sapere che in assenza di un compromesso entro il 7 agosto, data di scadenza del negoziato sui dazi, scatteranno tariffe su una lista di prodotti per un valore di quasi 100 miliardi. Una misura molto aggressiva, per cui val la pena ricordare che, a ben guardare la dinamica economica, i dazi di Trump sono in realtà sono contromisure rispetto a storture tipicamente europee. È questo il non detto che non viene mai messo sul tavolo da Ursula e lorsignori dell’eurocrazia.
Queste storture Trump le ha elencate più volte: le barriere tariffarie, l’eccesso di tassazione nell’eurozona rispetto ai prodotti americani, che crea squilibri: pensiamo all’Iva, che è già una tassa bizzarra per un sistema liberale come quello americano, la cui media europea è al 21%, mentre la tassa americana più simile è al 6%. Trump ha fatto poi riferimento alle barriere non tariffarie, cioè al moloch burocratico europeo, all’eurogabbia, all’ipertrofia normativa e dirigista che viene da Bruxelles.
I dati di Confindustria sono impietosi: negli ultimi dieci anni gli Stati Uniti hanno prodotto circa 3 mila nuove norme e l’Unione europea 13 mila. Tutti passaggi burocratici, rallentamenti, cavilli, costi secondari: tanto che Mario Draghi, non esattamente un critico dell’eurocrazia, li ha chiamati “dazi impliciti”, che per le imprese americane sono un problema oggettivo. La terza cosa che Trump ha messo sul tavolo è in che modo è viziata la dinamica import-export sull’asse transatlantico: non c’è un altro caso nella storia in cui un Paese a fortissima vocazione esportatrice, proprio quello da cui viene Ursula, cioè la Germania, ha costruito insieme ad altri una moneta, l’euro, più debole della sua moneta storica, il marco. Un’anomalia che cambia la dinamica di mercato, la capacità di esportazione, e crea danno alla controparte americana.
Questi temi, che Trump ha messo più volte sul tavolo, non entrano mai nel discorso di Ursula e di lorsignori. Sembra che per loro prima di Trump ci fosse una situazione di idilliaco libero scambio, ma non è così, di libero non c’è niente: la situazione è iper-normata, iper-dirigista, soggetta come non mai alle dinamiche della politica, della burocrazia e anche della moneta, tutto sbilanciato a favore dell’Europa. Per questo, andare alla guerra commerciale sarebbe un perseverare diabolico. Il problema è che lo sarebbe per le imprese, per i lavoratori e per le famiglie europee.