Il capolavoro di Trump: pace attraverso la forza

· 25 Giugno 2025


Cari ascoltatori, questa mattina possiamo parlare di capolavoro da parte di Donald Trump, con il cessate il fuoco stipulato tra Israele e Iran, al termine del quale la guerra in Medio Oriente sarà finita. Trump l’ha annunciato la scorsa notte sui social: “Congratulazioni a tutti, è stato pienamente concordato tra Israele e Iran che ci sarà un cessate il fuoco completo e totale, tra circa sei ore, quando Israele e Iran avranno concluso e completato le loro missioni finali in corso. Un cessate il fuoco della durata di 12 ore, momento in cui la guerra sarà considerata finita. Partendo dal presupposto che tutto funzioni come dovrebbe e così sarà, vorrei congratularmi con entrambi i Paesi per aver avuto la resistenza, il coraggio e l’intelligenza per porre fine a quella che dovrebbe essere chiamata la Guerra dei 12 giorni”.

Parliamo di capolavoro di Donald Trump perché questa vicenda bellica è un caso di scuola trumpiano, la messa in atto del paradigma della pace attraverso la forza. All’origine c’è sempre lo schema del deal, della ricerca del negoziato, ovviamente nell’interesse dell’America e dei suoi alleati: in questo caso un negoziato che impedisse la proliferazione nucleare e che la bomba atomica finisse in mano alla teocrazia totalitaria di Teheran, che vuole cancellare Israele.

Quando però ha capito che gli ayatollah pensavano di trovarsi di fronte a Barack Obama e di poter continuare a portare a spasso l’amministrazione americana, Trump ha condiviso e dato un via libera informale all’iniziativa militare di Israele, mostrando alla vulgata pseudo-progressista che l’America non abbandona i suoi alleati, soprattutto l’unica democrazia del Medio Oriente, assediata da quando è nata. E quando è stato chiaro che per raggiungere quell’obiettivo serviva l’iniziativa americana, i bombardieri B2 e le bombe bunker buster, Trump ha dato il via libera all’operazione e ha azzerato di fatto il programma nucleare iraniano.

In questo modo il presidente Usa ha anche smentito la parte più miope e ciecamente autarchica del mondo Maga, che paradossalmente replicava la stessa caricatura che di Trump fa il bel mondo progressista, quella dell’isolazionista tout court. Ma un’America di nuovo grande non può essere isolazionista: evitare di sovraesporre il suo Paese in guerre secondarie nel mondo è altra cosa rispetto a quando sono in gioco interessi esistenziali dell’America o dei suoi alleati.

Agli ayatollah è toccato quindi scegliere tra una folle guerra all’America o, con istinto elementare di sopravvivenza, il ritorno al tavolo, anche perché dopo l’intervento americano Israele ha ricominciato a martellare i siti da cui vengono lanciati i missili iraniani, e ha dichiarato che tutti gli obiettivi sono stati raggiunti, che l’Iran non è più una minaccia esistenziale per Israele.

Ora è chiaro a tutti che lo schema trumpiano della trattativa e della pace attraverso la forza è l’unico in grado di dare un futuro al Medio Oriente, preparato con le visite del presidente Usa alle monarchie sunnite del Golfo finalizzate a irrobustire gli affari con l’America, ma anche a rinvigorire il format degli accordi di Abramo. Uno schema che peraltro, come ha fatto notare oggi sul giornale Mike Pompeo, già capo della Cia e segretario di Stato nel primo mandato Trump, è identico a quello con cui Reagan ha consolidato la supremazia dell’America e realizzato la vittoria sull’Unione Sovietica senza sparare un colpo. Oggi è anche il capolavoro di Trump.


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