La debolezza dell’Europa? È non avere big tech

· 8 Giugno 2025


Nella nostra rubrica “Alta Tiratura” Alessandro Gnocchi tratta un argomento di stretta attualità, un fenomeno politico, economico, ma con una forte radice e forti conseguenze culturali: la cosiddetta tecnodestra, cioè quella specie di alleanza tra le grandi big tech che si occupano di dati e una parte della politica. Un’alleanza che, almeno fino a poco tempo fa, ha trovato una sintesi nella presenza di Elon Musk accanto a Donald Trump. 

Il dibattito sulla tecnodestra purtroppo si svolge prevalentemente all’estero, ma è un tema fondamentale per il futuro, ed è centrato intorno ai dati, quelli che noi lasciamo spontaneamente o che ci vengono chiesti, o che ci vengono sottratti anche con l’inganno, con le intercettazioni e in vari altri modi. Dall’elaborazione di questi dati le grandi aziende riescono a elaborare tendenze e a formulare una sorta di previsione del futuro.

Uno dei temi della tecnodestra è il sovranismo, di cui si è parlato per anni per poi scoprire che il dibattito era monco, ne mancava una parte decisiva: non puoi parlare di sovranismo se non prendi in esame l’aspetto del digitale.

Su questo tema dirimente della contemporaneità, sugli scaffali hanno cominciato a comparire una certa quantità di saggi, quasi tutti nuovi. Un titolo interessante è  “La debolezza dell’Europa” di Luca Balestrieri, pubblicato dalla Luiss University Press: spiega che la debolezza politica dell’Europa dipende dalla mancanza di proprie big tech. Gli ecosistemi a proiezione globale che stanno rifondando anche la produzione culturale, le piattaforme-mondo, sono tutte statunitensi o cinesi. Quindi l’Europa può impegnarsi finché vuole, ma se non trova un modo di gestire la sua identità digitale, è destinata a soccombere anche dal punto di vista politico.

Un altro studioso italiano, Roberto Baldoni, ha appena ha pubblicato “Sovranità digitale” (Il Mulino, 176 pagine, 13 euro), in cui sostiene che il pieno controllo dei dati circolanti nel proprio Paese è fondamentale per il mantenimento della sovranità digitale e anche generale. Un tempo si diceva che senza il possesso della nostra moneta non possiamo essere sovrani. Adesso tocca al possesso dei dati digitali.

Un pensatore che forse non ci aspetteremmo di trovare su questi temi e che invece ha affrontato questo capitolo con profondità è Henry Kissinger, che insieme con Craig Mundie e Eric Schmidt ha scritto un volume titolato “Genesi: come navigare nell’era dell’intelligenza artificiale”, pubblicato ora in Italia (Mondadori, 228 pagine, 19 euro): anche Kissinger ha messo in relazione i big data, l’intelligenza artificiale e la sovranità, con la tesi di fondo che la piena sovranità non si può più avere se uno Stato non è consapevole della necessità di possedere e controllare i propri dati.


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