Orsini: le eurofollie ci rovinano. Ascoltate almeno lui
Giovanni Sallusti · 27 Maggio 2025
Cari ascoltatori, in un estremo tentativo di indicare a lorsignori di sinistra la strada della realtà e non dell’ideologia, ci permettiamo di dar loro un suggerimento che magari giudicheranno “accettabile”. Se non volete ascoltare gli allarmi delle destre europee composte da biechi conservatori barra sovranisti con l’anello al naso, insomma i critici delle politiche eurocratiche di ogni gradazione (che sono i veri difensori della storia e della cultura europee), almeno ascoltate un signore al di sopra di ogni loro sospetto, cioè il presidente di Confindustria Emanuele Orsini.
Orsini è intervenuto oggi all’Assemblea annuale di Confindustria a Bologna, e tra le altre cose ha detto: “Alle politiche europee serve un radicale mutamento d’impostazione, le scelte degli ultimi anni stanno presentando un conto pesantissimo”. Parlava della classe dirigente che guida l’Unione Europea, non di Donald Trump o di altri cattivoni globali. “Hanno indebolito la nostra competitività industriale, hanno messo a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro e di conseguenza l’intero sistema di welfare, di coesione sociale. Bisogna intervenire subito per cambiare questa rotta, se questo non accade avremo dato ragione a chi non vuole un’Europa né più unita né più forte”. E ancora: “Bisogna avviare una drastica semplificazione del sovraccarico di regolamenti e direttive europei che si è abbattuto su ogni settore industriale”.
Ricordiamo qualche dato comparato: negli ultimi 5 anni gli Stati Uniti d’America hanno prodotto circa 3.500 nuove norme, nello stesso lasso di tempo l’illuminata Unione europea ne ha prodotte 13.500, 10.000 norme in più in 5 anni, che vanno ad aggiungersi a un moloch burocratico già nettamente più invadente di quello oltreoceano. E tutto questo grava sulle filiere economiche del continente.
Non è finita: Orsini prende di petto il convitato di pietra, cioè il green deal: “Sul green deal l’errore è stato anteporre l’ideologia al realismo e alla neutralità tecnologica”, cioè non impostare politiche ambientali sostenibili, ma calare dall’alto un’ideologia gretina e antieconomica. “Ci siamo dati i tempi e gli obiettivi ambientali più sfidanti del mondo, ma senza alcuna stima degli effetti e dei costi sull’industria e sui lavoratori e sulle loro famiglie”: è il grande tema della perdita di decine di migliaia di posti di lavoro in filiere che fino a pochi anni fa erano la sicurezza dell’economia continentale, per prima l’automotive. Un’altra contraddizione dell’eco-talebanesimo è che “il resto del mondo non condivide né i nostri standard, né i nostri costi e tutto ciò ci porta fuori mercato”: possiamo fare tutti i green deal che vogliamo, ma né l’America, la Cina, l’India, né altri Paesi, che siano democrazie o totalitarismi, hanno intenzione di suicidarsi economicamente, è una bizzarria tutta europea.
Orsini va poi direttamente sull’automotive: “Il rischio concreto è di avere auto sempre più costose, con il risultato di cedere quote di mercato sempre maggiori ai concorrenti cinesi”, cioè tutti questi abbagli europei hanno fatto gli interessi del Dragone, già ampiamente favorito dalla concorrenza sleale. L’Europa ha davvero una classe dirigente molto illuminata.
Che cosa vogliamo dire con tutto questo? Che non è da estremisti mettere in discussione le strategie politiche, industriali ed economiche della cosiddetta élite di Bruxelles (che è “cosiddetta” perché un’élite dovrebbe avere chiavi di lettura in più, e invece questi ne hanno di meno): chiunque è in grado di capire che è demenziale sacrificare posti di lavoro in nome di un’ideologia. Piuttosto è estremista chi ancora si ostina a difenderla in modo acritico, anteponendo, come dice Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, l’ideologia alla realtà.