Il dubbio di ogni garantista: e se Stasi fosse innocente?
Giovanni Sallusti · 16 Maggio 2025
Cari ascoltatori, chiunque sia affezionato allo stato di diritto, liberale e garantista, ma anche solo mantenga un rapporto con la logica e con l’umanità, non può non porsi domande sui recenti sviluppi dell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, per cui è stato condannato l’allora fidanzato della vittima Alberto Stasi, che sta scontando 16 anni di carcere.
Le novità di questi giorni, che emergono a distanza di 18 anni dagli eventi, ci danno un senso di straniamento e viene anche da chiedersi perché gli accertamenti attuali non siano stati fatti allora: la potenziale arma del delitto recuperata in un canale; un nuovo indagato, l’amico del fratello della vittima Andrea Sempio; il potenziale coinvolgimento di altre persone, fra cui le cugine della vittima, le gemelle Cappa, finora mai indagate. Agli atti dell’inchiesta ci sarebbe un sms di una di loro in cui è scritto “abbiamo incastrato Stasi”: messaggio che comunque, va detto in nome del garantismo di cui sopra, per essere interpretato andrebbe contestualizzato, perché da solo non significa niente.
Insomma, zero certezze e mille domande. Ma la più importate riguarda la verità processuale finora acquisita, che ha prodotto una condanna definitiva: può essere che la suddetta verità acquisita non coincida con la verità effettiva? È una domanda drammatica, perché se così fosse, oltre alla vita spezzata di Chiara Poggi, ci sarebbe un’altra vita distrutta, quella di Stasi. È una domanda terribile perché in uno Stato liberale e garantista le condanne devono essere emesse al di là di ogni ragionevole dubbio, a maggior ragione per un delitto così efferato.
Alberto Stasi fu assolto due volte, in primo e in secondo grado: prima che la Cassazione ordinasse di rifare il processo in appello, era stato assolto da due collegi giudicanti diversi. In altre culture del diritto le assoluzioni nei primi gradi di giudizio sono sostanzialmente inappellabili, e questo è, per inciso, anche lo spirito della riforma Nordio. Ma la cosa straniante è che sulla stessa sentenza definitiva di condanna per Stasi è stato riportato che l’andamento dell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi “fu senz’altro non limpido, caratterizzato anche da errori e superficialità”. Una frase agghiacciante, in calce a una decisione così importante.
Fra le varie cose non limpide, c’è la questione del computer sul quale Alberto Stasi stava lavorando alla sua tesi di laurea, che da parte degli inquirenti non fu oggetto di un trattamento esattamente professionale; e, secondo molti esperti che hanno analizzato gli orari in cui i file erano stati salvati, Stasi avrebbe avuto un quarto d’ora per commettere un omicidio efferatissimo, eliminare tutte le tracce e ripulire anche se stesso: tutto senza essere visto da nessuno. Un killer iper-professionista. In più, manca anche il movente, che né l’accusa né le sentenze hanno individuato. Eppure, uno che ha ucciso la sua fidanzata dovrà averne pure avuto uno.
Diciotto anni dopo, siamo di nuovo privi di certezze e assediati da interrogativi. La domanda se questo ragazzo che sta scontando 16 anni di carcere possa essere innocente non possiamo non porcela: e che sia stato condannato al di là di ogni ragionevole dubbio, anche per logica elementare e per senso umano, oggi ci sembra difficile da sostenere.