Sui dazi la Ue ha perso la testa: sembra la Cina
Giovanni Sallusti · 6 Maggio 2025
Cari ascoltatori, registriamo che sui dazi l’Unione Europea parla e agisce ormai come la Cina, e sulle politiche commerciali arriva a minacciare Donald Trump e l’amministrazione americana. Che Bruxelles sembri diventata una succursale di Pechino non è un bel segnale: Bloomberg, che solitamente riporta indiscrezioni argomentate, scrive che la Ue pensa di colpire le merci americane con circa 100 miliardi di euro in dazi aggiuntivi, se i negoziati in corso non andranno a buon fine. Cioè, Ursula si è convinta di essere più Trump di Trump e ne adotta lo schema del cazzotto in faccia, del rilancio. Solo che l’interlocutore è gli Usa, il principale alleato dell’Eurozona, quello che stampa il dollaro che è la moneta globale, ed è di gran lunga il principale azionista della Nato, un’alleanza militare impareggiabile nel mondo che garantisce la sicurezza dell’Europa.
E invece gli euroburocrati ritengono intelligente non solo imbastire un braccio di ferro con Washington, ma anche rilanciare e minacciare. Perfino la stessa Cina si sta rivelando più lucida dell’Unione Europea, perché, secondo fondate indiscrezioni, il Dragone sarebbe disponibile ad abbassare i toni della guerra commerciale e a giungere a un accordo. La Ue no, si sente forte e in grado di fare a meno dell’America. Risate in sala.
A uscire allo scoperto è stato il commissario europeo al commercio Maroš Šefčovič: “Ci stiamo preparando per un possibile e necessario riequilibrio, continueremo quindi a prepararci per un ulteriore riequilibrio se necessario. Vorrei assicurarvi che tutte le opzioni sono chiaramente sul tavolo”. Non si parla che diavolo di riequilibrio sia, visto che, se ne fosse necessario uno, sarebbe in direzione americana, perché l’anomalia sta al di qua dell’Atlantico: per esempio nella condizione di privilegio della Germania che, come Paese iper-esportatore, con l’Euro che è più debole del vecchio Marco, si trova in una posizione favorevole, che ha anche sfruttato, a volte, guardando verso Pechino.
Ma la sostanza del discorso è arrivata dopo: “Un elemento molto importante sollevato da molti è che dobbiamo sottolineare che questi dazi sono semplicemente ingiusti, sleali e in totale violazione del diritto commerciale internazionale; e pertanto stiamo valutando anche altre opzioni, e di contestare queste misure al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio”, cioè una minaccia identica a quella ventilata da Xi Jinping e dal regime comunista cinese.
Non solo, anche la retorica è la medesima, perché questa difesa a oltranza del libero commercio internazionale violentato dai malvagi dazi trumpiani è una farloccata storica. È il grande abbaglio che ha giocato contro l’Occidente e contro l’Europa a favore della Cina, perché dietro il “libero commercio internazionale” c’è il dramma economico vissuto dalle nostre imprese e dai loro lavoratori, la globalizzazione sbilanciata nell’interesse del Dragone comunista: una globalizzazione commerciale cui non corrisponde la globalizzazione delle libertà individuali che in Occidente sono un fondamento e che in Cina sono totalmente assenti, condizione che le consente di esercitare una violenta concorrenza sleale contro intere filiere di produzione europea.
Ebbene, quando Šefčovič dice quelle cose, che vanno contro l’interesse europeo, sembra proprio un commissario in quota a Pechino. Per non dire dell’ipocrisia sui dazi stessi: quando l’Unione europea ha messo sulle auto americane dazi corrispondenti a più del doppio rispetto a quelli che gli americani mettevano sulle auto europee, tutta questa ingiustizia Šefčovič non la percepiva. Va anche detto che, come è stato storicamente finora, l’Unione europea è essenzialmente un’espressione dell’asse franco tedesco, e non è un buon momento per quest’asse, visto il consenso in picchiata di Emmanuel Macron/Micron in Francia; e visto che in Germania neocancelliere Merz, nonostante un accordo politico, per la prima volta nella storia della Repubblica federale tedesca ha ottenuto la fiducia del Parlamento solo alla seconda votazione, il che significa partire già deboli. Per di più mentre viene criminalizzato il principale partito dell’opposizione e primo partito in Germania, AfD.
Ecco allora che cosa è ridotta a essere oggi l’Unione Europea, con il suo asse franco-tedesco in crisi nera: una triste, burocratica, inverosimile parodia di Pechino.