Sandro Sallusti: La sinistra vuole la perenne guerra civile
Giovanni Sallusti · 3 Maggio 2025
Questa settimana l’ospite di “Parlando liberaMente”, la nostra intervista con i protagonisti della politica, dell’attualità, del giornalismo, è il direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti, di cui è da poco uscito il nuovo libro, “L’eresia liberale” (Rizzoli, 272 pagine, 18 euro), che parla con il direttore di Radio Libertà delle ambiguità in cui la politica italiana si dibatte, fra libertà, cambiamento e storiche sudditanze culturali. E anche della sua vicenda personale: alle 11:30 del primo dicembre 2012 le forze dell’ordine entrarono nella redazione e arrestarono Sallusti in esecuzione di una condanna per omesso controllo, il reato più comune dei direttori di giornale.
“Era la prima volta che la polizia entrava in un giornale. I giornali, come le università, sono ritenuti dei luoghi inviolabili perché rappresentano la libertà di espressione, che è la base di qualsiasi libertà. Era la settima volta che venivo condannato per omesso controllo, un reato nato nel 1936 con il Codice Rocco, quando i giornali avevano 4 pagine e si presumeva che un direttore potesse verificarne parola per parola il contenuto”.
“Il giudice nella sentenza mi definì ‘delinquente abituale’: ma al momento in cui io venni arrestato Travaglio era a quota 9, il direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli era 16, il direttore di Repubblica a 24… Il fatto è che ero il direttore del giornale della famiglia Berlusconi, che stava conducendo battaglie garantiste, contro l’invadenza della magistratura. Eravamo nel pieno della guerra civile mediatica tra berlusconismo e antiberlusconismo. Fu un atto illiberale, oltre che ingiusto, e avvenne in una sostanziale indifferenza dei grandi mezzi di comunicazione, della categoria, degli intellettuali, della politica”.
“La verità non esiste in sé, la verità è un punto di vista. Vale per la politica, per l’etica. L’importante è averlo, un punto di vista. Chi dice di essere super partes pensa di dire una figata pazzesca, ma in realtà sta dicendo ‘io sono un cretino’, non ha nessuna idea, nessun ruolo e gli va bene qualsiasi cosa. Essendo un democratico liberale, io rivendico l’importanza del punto di vista, che non deve escludere quello degli altri: per me più punti di vista ci sono, più la democrazia è salda”.
“La classe politica, intellettuale, culturale del Paese non ha risolto il problema della guerra civile che è seguita alla fine del fascismo. Così, anche oggi tutto ciò che non è di sinistra è fascista. Ma questa cosa nasce su una grande bugia: che l’Italia sia stata liberata dai partigiani rossi, mentre è stata liberata dalle truppe alleate. Gli stessi partigiani rossi sono una minoranza del movimento partigiano, la Resistenza è stata un grande movimento variegato, e anche conflittuale. Alla fine però il partito comunista si è appropriato della liberazione e ci ha costruito una retorica, dandosi un ruolo che altrimenti non avrebbe avuto. Siamo ancora fermi lì, a continuare una guerra civile che non ha più senso, a continuare a individuare un nemico: ma siccome i fascisti non ci sono più, la sinistra deve far vivere un nemico inesistente, che ha incarnato nei liberal-conservatori, facendoli diventare i nuovi fascisti”.
“Nel libro racconto come l’Istat documenti che in Italia ci sono circa un milione di persone indisponibili alle regole democratiche: 400.000 di estrema destra e 600.000 di estrema sinistra. Ma quelli ci saranno sempre e ci sono sempre stati. Non sono un pericolo, perché sono una minoranza che non incide”.
“La retorica della superiorità morale e culturale della sinistra? Ricordo un episodio che riguarda Massimo D’Alema. Nel 2010, a ‘Ballarò’, che era condotto da Giovanni Floris, si parlava del famoso caso della casa di Scajola comprata a sua insaputa, dietro la quale c’era qualche pasticcio. Scajola fu costretto a dimettersi anche su pressione del Giornale, Vittorio Feltri scrisse che dei ministri che comprano case senza saperlo ne facciamo a meno, anche se sono di centrodestra. D’Alema si mise a pontificare su questa vicenda, allora lo interruppi dicendo: onorevole, lei è stato trovato con le mani nella marmellata nello scandalo Affittopoli – D’Alema pagava cento euro di affitto per un attico pazzesco – e quindi non ha titolo a parlare di case. Allora lui perse del tutto il controllo e prese a insultarmi a male parole, nello stupore di tutti i presenti e dei telespettatori. Con quello sfogo violento e aggressivo finì la carriera politica di D’Alema”.
“Berlusconi è stata una variabile imprevista a un dogma, all’accordo morale e politico dei padri costituenti: ci scanniamo fra noi, Dc e Pci, ma non permettiamo mai alla destra di andare al governo. E la destra i Parlamento c’era, ma era trattata come se ne fosse fuori. Berlusconi ruppe quel patto, portò al governo Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini e la Lega di Umberto Bossi, fu come se avesse bestemmiato”.
Le conseguenze della rottura di quel tabù si sono trascinate fino a oggi, con l’antimelonismo e con l’accanimento giudiziario contro Matteo Salvini. “Gli eredi dei protagonisti di quel patto sono ancora operanti, ci vorrà tempo perché una classe dirigente giudiziaria e una classe dirigente politica passino oltre quell’oltraggio”.
Esiste, a volte, un complesso di inferiorità politica e culturale verso il mainstream di sinistra: “Il centrodestra soffre di una sorta di sindrome di Stoccolma nei confronti della sinistra. Succede a quelli che sono stati tenuti per anni ai margini della società politica e culturale, ogni volta che qualcuno lancia loro un tozzo di pane, a loro sembra di partecipare al grande gioco. Anche Berlusconi in certi momenti ne soffriva, voleva essere riconosciuto dal nemico, dal Pd. Ci sono solo due politici esenti dalla sindrome di Stoccolma: Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che non l’hanno mai avuta, e per questo sono tra i più bersagliati”.
“I modi di Trump sono innanzitutto molto americani, diversi dai modi europei. In più lui li esaspera. Però così fa centro volte di più di quanto facciamo noi. Trump, con il discorso di Vance a Monaco sullo stato dell’Europa, ha azzeccato la diagnosi: noi occidentali abbiamo un problema. Se la terapia Usa è quella giusta lo si vedrà nel tempo, non possiamo saperlo adesso”.