Altro che pentiti della brexit: trionfa Farage!
Giovanni Sallusti · 2 Maggio 2025
Cari ascoltatori, per anni il mainstream ci ha garantito che gli inglesi si erano pentiti della Brexit, una panzana che fa il paio con quella per cui i supermercati britannici non avrebbero più avuto nulla sugli scaffali, sarebbero spariti i medicinali, e che una nazione intera, dopo aver liberamente votato, si fustigava ammettendo la colpa di aver voluto uscire dall’Unione Europea.
E invece che cosa è appena successo? Che in un’importantissima tornata di elezioni amministrative oltremanica ha trionfato Nigel Farage, l’uomo che incarna la Brexit, colui che era uscito dal partito conservatore contestandogli l’edulcorazione dei principi thatcheriani anti-Ue di libertà, liberismo, antidirigismo, antiburocrazia. Su questi principi Farage nel 2016 impose la questione della Brexit all’agenda politica del Regno Unito. Boris Johnson, conservatore vero, fece propria questa istanza, ma il partito era spaccato: si andò al referendum, vinse Farage e tanti saluti a Bruxelles.
Il mainstream da allora ha ripetuto che l’esito della consultazione era stato una vittoria di Pirro e che Farage era ormai decaduto nel gradimento degli elettori: e invece dalle urne è saltato fuori un trionfo storico per il suo partito, Reform UK, che ora alcuni sondaggi danno come primo partito nazionale e comunque come quello in grado di contendere il governo ai laburisti, sopravanzando nettamente i conservatori.
Reform ha vinto un’elezione supplettiva, strappando un seggio ai laboristi alla Camera dei Comuni, nella contea del Cheshire, dopodiché ha ottenuto il suo primo sindaco, nella contea del Lincolnshire, con la thatcheriana Andrea Jenkins: ex deputata Tory, ex sottosegretaria all’istruzione nel governo di Boris Johnson, un’altra che si era rotta della edulcorazione politicamente corretta dell’establishment.
Reform ha anche strappato 79 seggi di consiglieri in vari Comuni, dove finora ne aveva zero. In confronto, il Labour ne ha ottenuti 11 ma ha persi 13, e i Tory se ne sono assicurati 37 rispetto ai 62 che hanno ceduto: la cronaca, dunque, dice che lo scenario politico britannico è cambiato a suo favore, cioè di quello che secondo lor signori doveva essere un cadavere politico.
Ma al là della dinamica del Regno Unito, quel che è veramente interessante è che l’agenda di Farage è un’agenda trumpiana, è l’agenda di un conservatorismo e di un liberismo per molti versi analogo a quello che l’amministrazione Trump sta portando avanti in America: contesta radicalmente il globalismo che non fa gli interessi del libero Occidente, ma di altri Paesi e di altre culture; contesta radicalmente il mito dell’immigrazionismo acritico per cui il concetto stesso di confine viene messo in discussione e quindi mina l’identità delle nazioni; mette in discussione le burocrazie internazionali, dalla Ue all’Onu.
I movimenti che contestano tutto quel caravanserraglio ideologico stanno riscontrando ovunque un consenso popolare, termine démodé, visto quel che succede in Germania, dove i servizi segreti hanno definito Afd, primo partito nei sondaggi, un pericolo per la democrazia; o quel che succede in Francia, dove a Marine Le Pen viene impedito di presentarsi alle elezioni mentre era accreditata come favorita nella corsa per l’Eliseo.
La realtà è che questa agenda, conservatrice e trumpiana in senso lato, alle urne funziona. Quanto agli inglesi, non solo non è vero che sono pentiti della Brexit, ma hanno decretato vincitore di questa tornata proprio elettorale l’uomo che l’ha promossa. Chissà se domani qualche sparuto commentatore avrà un rigurgito di onestà e farà un mea culpa.