Zelensky non sa non perdere: ora dica sì a Trump
Giovanni Sallusti · 24 Aprile 2025
Cari ascoltatori, Volodymyr Zelensky è il leader di una nazione che è stata aggredita nella sua sovranità e nella sua autodeterminazione, e per questo non può che ispirare solidarietà a qualunque liberale conservatore, tanto più quando l’invasore è un autocrate di purissima scuola Kgb, che si è dichiarato un perfetto prodotto dell’educazione patriottica sovietica.
Poi però c’è la cronaca, e qui ci sembra che Zelensky ancora una volta manifesti un deficit di realismo, come già gli era capitato nell’incontro con Donald Trump alla Casa Bianca. Ci pare infatti che la sua posizione attuale non sia negli interessi dell’Ucraina e del popolo ucraino: stamattina sui media vien dato conto del suo rifiuto al piano di pace allestito dalla Casa Bianca, nelle persone del segretario di Stato Marco Rubio dell’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff. Il paradosso è che, respingendo in toto il piano, Zelensky aderisce a una narrazione pro-Putin, secondo la quale Mosca sta vincendo e con questo accordo otterrebbe tutto. Ma non è così.
Riavvolgiamo il nastro. L’obiettivo primario di Vladimir Putin era arrivare a Kiev in pochi giorni, buttare giù Zelensky e il suo governo, annettere l’Ucraina alla Russia, come avveniva ai tempi dell’Unione Sovietica, e instaurare un governo fantoccio. Questo obiettivo non è stato raggiunto e resta lontanissimo, perché la Russia non è in grado di realizzarlo.
L’attuale situazione del fronte dice che le roccaforti principali del Donbass al momento sono in mano ucraina, quindi fuori dallo schema delle concessioni ai russi previste dall’ipotesi di accordo: solo la regione di Lugansk è interamente occupata, mentre altre, Donetsk, Pokrovsk, Kramatorsk, sono ancora per lo più in mano ucraina, così come a sud i due importanti capoluoghi Zaporizhia e Kherson. Da novembre 2022 non ci sono truppe russe sulla riva ovest del fiume Dnipro, un confine anche simbolico, geopolitico; insomma, nulla di quelle terre rientrerebbe nello schema delle concessioni, e anche gli obiettivi più limitati, più realistici di Putin, che riguardano il Donbass e le regioni russofile o presunte tali, non finirebbero in mano russa in toto, nemmeno i principali snodi urbani: per esempio, la città di Odessa con il suo porto.
Allora, se il piano americano prevede la quasi integrale cessione dei territori attualmente occupati alla Russia, non si tratta affatto di una vittoria strategica di Putin. E se prevede che la Crimea sia riconosciuta come russa, non si capisce perché i giornaloni se la prendano con Trump, visto che l’annessione forzata avvenne durante il mandato di Barack Obama, che eventualmente ne sarebbe il responsabile. Se, come ha detto Trump, l’Ucraina non combattè allora per la Crimea, non si capisce perché dovrebbe farlo adesso che si sta cercando una pace complessiva.
Morale della favola, Zelensky è di nuovo poco lucido e refrattario a cogliere la realtà: Putin ottiene dei punti, ma con il piano americano non potrebbe mettere mano su alcuno dei suoi obiettivi strategici. Potrebbe annettere dei territori, un compromesso che è anche dovuto al fatto che gli Stati Uniti d’America hanno altre priorità, hanno la sfida con gigante cinese cui badare. E Zelensky, se non legge questo scenario, rischia di prendere un clamoroso abbaglio.