La Chiesa deve andare oltre quel “pugno” di Bergoglio

· 22 Aprile 2025


Cari ascoltatori, queste sono le ore della riflessione del mondo attorno alla figura di Papa Francesco. I funerali sono previsti tra venerdì e domenica, poi scatterà il grande rito teologico e politico del Conclave da cui scaturirà il nome del nuovo Pontefice, la geografia vaticana è già all’opera e nei prossimi giorni ve ne daremo conto. Quel che pensiamo, che ci ha lasciato la figura di Bergoglio, lo abbiamo scritto ieri sul nostro sito, appena si è diffusa la notizia, con un editoriale a firma di Antonino D’Anna, certamente eccentrico rispetto al coccodrillo collettivo e prestampato che potete leggere stamane sui giornaloni.

È un editoriale intinto nel rispetto per la figura di Francesco, ma che motiva alcune perplessità culturali attorno al suo magistero che, a nostro giudizio, è stato dedicato soprattutto a mondanizzare la Chiesa, a farla stare nel mondo con l’azione e l’esempio più che con la riflessione teologica, coerentemente con la sua impostazione gesuita. E questo a volte ha voluto dire adesione a mode ideologiche, all’alfabeto corrente, ai luoghi comuni del nostro tempo.

Questa cosa è emersa con chiarezza, secondo noi, all’indomani degli attentati al giornale satirico francese anarcoide Charlie Hebdo, che aveva pubblicato copertine satiriche molto violente nei confronti dell’islam (ma anche del Cristianesimo, del Vaticano e di varie ideologie terrene): nel 2015 un commando islamista legato ad Al Qaeda entrò nella redazione e fece una strage. Il giorno seguente, sull’aereo papale, Francesco, stimolato dai cronisti, disse che la libertà di espressione e la libertà di religione sono due diritti fondamentali, condannò con forza l’attentato e l’idea stessa di uccidere in nome di Dio, non fu reticente. Poi però aggiunse: “Se il dottor Gasbarri” (allora organizzatore dei viaggi papali), “che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, si aspetta un pugno: non si può insultare la religione, la fede degli altri”. Quella frase fece scalpore e va contestualizzata, ma non poteva non dare l’idea di un pericoloso relativismo, per usare un’espressione cara al suo predecessore Benedetto XVI: quella risposta sembrava relativizzare l’accaduto, vedere nella strage l’effetto perverso e maligno di un errore dei giornalisti di Charlie Hebdo, che avevano offeso la fede altrui.

In pratica, in quelle parole era venuto a mancare il grande valore occidentale e anche cristiano della libertà, presidio che vale a maggior ragione quando è sgradevole, quando è una libertà spiazzante e urticante. Mettemmo allora quel “pugno” in relazione con il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, forse l’ultimo colpo di reni della civiltà occidentale per bocca di un filosofo come era Ratzinger: quel discorso rivendicava la splendida anomalia occidentale, che lui identificava nella concordanza tra il logos greco e la rivelazione della fede cristiana, che non solo non è opposta alla ragione, ma si integra con essa, la esalta. Questa è la grande anomalia della nostra civiltà.

Tra il pugno di Bergoglio e il discorso di Ratisbona di Ratzinger passa un mondo, dalla comprensione di che cos’è storicamente, filosoficamente, simbolicamente l’Occidente, a una sensazione di relativismo della ragione che lascia con l’amaro in bocca. A nostro giudizio ora la Chiesa, come ha superato la figura forse troppo filosofica di Ratzinger, dovrà superare, con rispetto, la figura di Bergoglio: andare oltre questa stagione così mondana, molto gesuitica, troppo convinta che la Chiesa debba aderire alle parole d’ordine del tempo invece di spiazzarlo, di mettersi contro di esso quando è il caso. E dovrà trovare una figura “riequilibratrice” del discorso della Chiesa, che magari non può più essere il discorso di Ratisbona, ma che comunque dovrà allontanarsi da quell’infelice pugno di Papa Francesco.


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