Paola Tommasi: quello visto con Giorgia è il vero Trump
Giovanni Sallusti · 19 Aprile 2025
Per “Parlando liberaMente”, l’intervista settimanale con i protagonisti dell’attualità, della politica, del giornalismo, Giovanni Sallusti parla con l’editorialista de Il Tempo Paola Tommasi (che nel 2016 ha fatto parte dello staff del presidente americano nella sua prima campagna elettorale e lo ha conosciuto personalmente) del clima geopolitico e del futuro dell’Occidente, dopo l’incontro a Washington fra Giorgia Meloni e Donald Trump.
“Credo che il grande merito di Giorgia Meloni sia di aver fatto uscire il Trump vero. Lo si è visto diverso dal solito, sorridente, aperto e disponibile: cioè com’è veramente Trump in privato, il contrario di come spesso lo si vede negli eventi pubblici, corrucciato, con lo sguardo aggressivo. Fra i due c’era un feeling non surrettizio: quando lei ha parlato in italiano, lui ha detto ‘che bel suono ha questa lingua’ e poi si è fatto fare la traduzione. Trump ha un debole per l’arte, l’architettura e la storia e la cultura italiana: questo è il principale fattore su cui secondo me noi dobbiamo puntare molto”.
“Le politiche di Trump sono totalmente orientate alla trattativa, e ovviamente il presidente vuole porsi in una posizione di forza, per ottenere il risultato migliore per sé. Ma ieri mi è sembrato diverso, di fronte a Giorgia Meloni continuava a dire ‘sì, lavoreremo insieme, hai ragione’: annuiva su tutto, non ha esercitato mai il suo tipico approccio aggressivo, manifestazioni di forza”.
“I dazi? A Trump hanno portato tutti gli studi dei migliori economisti del mondo e della storia, li hanno poggiati sulla sua scrivania e lui li ha cestinati, non li ha neanche aperti. Sa benissimo che cosa dicono quegli studi, ma lui segue più che altro il suo istinto. Trump in campagna elettorale aveva detto che avrebbe messo i dazi, quindi gli americani erano perfettamente consapevoli di quello che sarebbe successo: lui sta soltanto realizzando il programma”.
“Trump vuole cambiare un modello: le risorse per le finanze pubbliche non dovranno più venire dai cittadini americani con la tassazione interna, ma dal commercio estero e sostanzialmente dalle imprese estere che vogliono commercializzare negli Stati Uniti. Il ragionamento è molto semplice, e gli americani si sono fatti un conto: magari con i dazi i prezzi dei beni di consumo aumentano un pochino (erano già aumentati per altre mille ragioni), però non pago tasse e potrò permettermelo. Il saldo potrebbe essere positivo per la persona comune”.
“L’altro tema su cui Trump vuole intervenire è riportare le imprese americane a produrre negli Stati Uniti: non gli va giù che le Nike, un prodotto americano, vengano fabbricate in Vietnam o in Cambogia, o che l’iPhone venga fatto in Cina o assemblato con componenti che vengono da là. Ora tutti dicono che è un ritorno al passato; ma ricordate trent’anni fa? All’inizio della globalizzazione, eravamo tutti preoccupati del fatto che le imprese delocalizzassero all’estero (per esempio in Cina) e che quindi si perdessero posti di lavoro e salari, perché là la manodopera costava meno in quanto non ci sono diritti sindacali, né tutela per il lavoratore, né controlli. Credo che fra qualche anno anche altri Paesi riorganizzeranno le loro filiere produttive e quindi applicheranno il modello americano-trumpiano, perché forse converrà di più”.
“Bisogna fare i conti con la realtà che Trump sta imponendo, non lo si può contestare sulla teoria: questo è ciò che il governo italiano sta facendo in maniera più lucida di altri. Parte da un dato di fatto e cerca una strategia che guardi al futuro, senza arroccarsi su posizioni ideologiche. Trump, da uomo di mondo, di business, del governo italiano apprezza il fatto che ci sia concretezza”.
“La reazione del resto del mondo mi pare sconsiderata, perché pur di contrastare Trump si buttano nelle mani della Cina. Si sta ripetendo lo stesso schema di 8 anni fa a Davos: pur di non accreditare Trump, sono pronti a riconoscere alla Cina dei valori, dei meriti che assolutamente non ha, perché nessuno sano di mente può pensare che la Cina sia un Paese liberale e liberista”.
“Razionale è andare a cercare il dialogo, a conoscere la persona con cui devi trattare. Mi colpisce molto che Ursula von der Leyen non abbia avuto nessun contatto con Trump: è un segno di debolezza, è come se lei si sentisse non in grado di affrontare un incontro come quello di ieri alla Casa Bianca. Lei non è strutturata, lo sa e quindi evita il confronto, perché probabilmente sarebbe stata trattata come Zelensky”.
“Ursula stessa si pone in maniera dimessa rispetto a Trump, mentre avrebbe tutta la forza dell’essere rappresentante dell’Europa, il vecchio continente, con quella storia, quella cultura che Trump ammira: potrebbe farsi valere, però purtroppo non lo fa. Invece con Trump bisogna parlarci, perché conoscendolo capisci che alla fine è molto diverso da quello che raccontano, e anche molto migliore”.
“Trump è più connesso all’America dei lavoratori che ai milionari o agli squali di New York, si trova molto più a suo agio con la gente comune che con le élite: lo ha dimostrato nel primo mandato e anche con il programma di questo secondo mandato, che è tutto volto a questo segmento di popolazione. Anche quando dicono che fa gli interessi dei ricchi, quegli interessi poi a cascata si riflettono sulle classi più basse: se un’impresa va bene porta posti di lavoro, salari più alti”.
“Se non usi i modi che usa Trump non raggiungi velocemente i tuoi obiettivi. Lui questa volta ha fretta perché vuole risultati prima della fine del mandato, anzi, prima delle elezioni di mid term, per cui deve essere molto incisivo anche nei modi, altrimenti potrebbe andare incontro a un problema politico”.
“Trump sta già realizzando il rientro delle aziende, cosa che tra l’altro sta avvenendo non solo per le aziende americane, ma anche per quelle di altri Paesi, Italia inclusa: ho letto per esempio che Pirelli apre uno stabilimento negli Stati Uniti, che Eni ha dei progetti: il risultato sui dazi l’ha già parzialmente ottenuto. Gli analisti si concentrano sulla borsa, ma lui vuole reindustrializzare l’America”.
“Poi c’è il tema dell’immigrazione. Trump non vuole gli irregolari negli Stati Uniti, che commettono omicidi, femminicidi, violenze, furti. E il grande tema della pace, in Ucraina e in Medio Oriente: il vero obiettivo di Trump in questo secondo mandato è di ricevere il premio Nobel per la pace, che a Obama fu dato sulla parola. La pace, soprattutto in Ucraina, avrebbe anche delle ricadute economiche che aiuterebbero a compensare eventuali effetti negativi dei dazi, perché riprenderebbe il commercio del gas, scenderebbe l’inflazione: insomma, ripartirebbe il ciclo economico che adesso è bloccato, dando una spinta generale. Trump ha detto di recente che avremo presto notizie dalla Russia. Credo che Putin non possa ignorare troppo a lungo la volontà di Trump, il suo atteggiamento bellico è a termine”.
“La prima volta che visto Trump fu in una riunione prima di un rally. Pensavo si sedesse al tavolo e parlasse per tutto il tempo. Invece si è seduto e ha ascoltato gli altri, e alcune proposte che aveva ascoltato e secondo lui avevano un senso, le ha subito fatte proprie e messe in pratica dieci minuti dopo, al comizio sul palco. Ascoltare e incontrare molta gente gli permetteva di avere nuove idee. Una volta notò una cantante lirica, che con la politica non c’entrava niente, però lui se la portò sul palco e le fece cantare l’inno nazionale, tutto completamente improvvisato e fuori dal programma. Se vede un talento, un’eccezionalità, un’idea brillante o una proposta intelligente, lui la coglie”.
“Devo dire che anche Salvini in Italia ha questo tipo di approccio: va dappertutto e incontra tutti, parla con tutti: credo che ormai conosca l’Italia centimetro per centimetro. È questo che un politico deve fare, è una vita infernale, molto faticosa, però è quella che ti dà il polso del Paese”.