Cari piagnoni, i dazi di Trump salveranno l’occidente
Giovanni Sallusti · 4 Febbraio 2025
Cari ascoltatori, ecco che Donald Trump e la sua politica dei dazi stanno facendo impazzire tutti: i giornaloni gridano allo scandalo, i commentatori e le anime belle vedono spalancarsi l’apocalisse, come da fisiologia del politicamente corretto e lamentazione delle prefiche radical chic. In realtà era già tutto successo con il primo mandato Trump e l’apocalisse non si è vista, ma anche questa volta non stanno capendo niente di quel che si sta muovendo in America.
La politica dei dazi sta facendo alzare il sopracciglio anche ad alcuni liberali affezionati alla tenuta accademica del teorema per cui i dazi non sono un ideale di politica economica, mentre lo è la libera circolazione delle merci, l’incentivazione del libero scambio. Però ideale sarebbe anche stare in un’alleanza come la Nato – che è uno strumento della libertà – condividendone gli oneri finanziari, mentre l’Europa ha l’abitudine di scroccare la difesa al contribuente americano. L’ideale è anche la libera concorrenza, ma non quella scorretta, conseguenza di una globalizzazione farlocca in cui uno Stato totalitario che pratica lo schiavismo, cioè la Cina, compete slealmente depauperando intere filiere produttive occidentali.
Insomma, pare che pochi riescano ad accettare il fatto che nella realtà il dazio è uno strumento geopolitico, non un feticcio di politica economica: Trump non è un protezionista dogmatico, usa questa leva per affermare le ragioni dell’America e del mondo libero nel guazzabuglio globale. La prova l’abbiamo avuta in queste ore: ha annunciato dazi al 25% sul Messico e il giorno dopo li ha sospesi perché la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha immediatamente accettato di inviare 10mila soldati al confine con gli Stati Uniti, con lo scopo di fermare i migranti illegali e il traffico di fentanyl. Nel frattempo negozierà un accordo complessivo con il segretario di Stato Marco Rubio. Lo stesso è accaduto con il Canada: il presidente Justin Trudeau ha messo sul piatto un piano da 1,3 miliardi di dollari per rafforzare i controlli sui confini con gli Usa, sia per i migranti sia per il passaggio di fentanyl: tecnologia, elicotteri, 10mila uomini, coordinamento con gli americani contro criminalità e riciclaggio di denaro, trattamento dei cartelli dello spaccio come terrorismo. In entrambi i casi i due Paesi colpiti dai dazi si sono posizionati sulla linea desiderata dagli Usa sulla base delle promesse elettorali di Trump: lotta all’immigrazione clandestina, alla criminalità, al traffico di droga.
Il medesimo meccanismo si è visto con Panama: Trump ha alzato la voce anche evocando scenari inverosimili, di riprendersi lo stretto con la forza. La reazione è stata che il presidente di Panama, José Raúl Mulino, ha annunciato a Marco Rubio che non rinnoverà il memorandum d’intesa del 2017 per aderire alla Via della Seta cinese, cioè si divincolerà dall’abbraccio imperialista del Dragone, tanto più perché si trova nel continente americano. Inoltre avvierà una collaborazione con gli Usa per nuovi investimenti e progetti infrastrutturali.
Per questo ci tocca ripeterlo: la politica dei Dazi è una geopolitica, non una politica economica: è una via attraverso cui l’America – nel disordine mondiale in cui le autocrazie, le dittature, i nemici dell’Occidente spesso hanno nell’aggressività il loro schema d’azione – fa valere la sua forza, tuttora impareggiabile, nell’interesse dell’America e quindi del mondo libero. Abituatevi.