Chi ha sconfitto il comunismo? La tivù a colori
Alessandro Gnocchi · 29 Settembre 2024
Nella nostra consueta rubrica settimanale “Alta tiratura”, Alessandro Gnocchi racconta come Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer (con l’autorevole sostegno del quotidiano L’Unità), avessero visto rispettivamente nella musica jazz e nell’avvento della televisione a colori una minaccia per l’egemonia culturale anelata dal comunismo italiano, temendo che la cultura pop sfuggisse al «controllo» e al «vaglio» dell’intellettuale di partito.
Gnocchi consiglia la lettura di un piccolo libro, “Gramsci e il jazz” di Roberto Franchini (Bibliotheka, 90 pagine, 12 euro), che racconta il detestabile fenomeno italiano (e di sinistra) del paternalismo, ovvero la convinzione che la gente sia sostanzialmente ignorante e stupida e quindi abbia sempre bisogno della guida di una élite illuminata. Un atteggiamento buonista che nasconde un desiderio di esercitare potere o almeno un’influenza sugli altri, e quindi narcisismo.
Gramsci, teorico dell’egemonia culturale, nelle lettere contenute nel libro si mostra preoccupato dall’egemonia musicale che il jazz iniziava a esercitare negli anni ’20, periodo in cui moltissimi musicisti americani di grande nome si trasferirono a Parigi, e anche molti intellettuali, per esempio Hemingway e Pound. Il jazz era il biglietto da visita della potenza emergente degli Stati Uniti, pronti a far valere la propria egemonia culturale: il modernismo jazz era associato a uno stile di vita frenetico, industriale, e soprattutto era il contrario al concetto di comunità che invece Gramsci aveva in mente.
Sulla stessa linea si trovò poi Enrico Berlinguer: nel 1948, quando era a capo della FIGC, si scagliò contro i fumetti e scrisse di essere preoccupato per la diffusione di questo genere “cattivo in sé e volto a narcotizzare gli adolescenti con forti dosi di americanismo”. Peggio ancora i film di Hollywood…
Negli anni di Berlinguer la nuova battaglia dell’egemonia musicale, dopo quella contro il jazz, fu quella contro il rock e contro il pop. Ma quella più divertente fu quella contro la televisione a colori, che Enrico Berlinguer, uomo dell’austerità, vedeva come il fumo negli occhi perché rendeva luccicanti e “veri” gli oggetti che venivano pubblicizzati, e quindi spingeva la gente ancora una volta all’edonismo e all’individualismo. L’Unità, che era il potente giornale di partito, si imbarcò allora in una serie di articoli contro la televisione a colori, che venne descritta, appunto, come un incentivo ai consumi di lusso. Uno dei titoli migliori di questi articoli, probabilmente il più sublime nella sua idiozia, era: “Assurdi segnali colorati”.