Follia woke in sala parto: banditi “mamma” e “papà”

· 19 Agosto 2024


Cari ascoltatori, la follia woke è sbarcata in un territorio finora inesplorato, in sala parto. Purtroppo l’anglosfera, che amiamo perché ci ha insegnato il culto dell’irrinunciabile libertà individuale, ha anche generato l’attuale minaccia dell’esatto contrario, cioè l’ideologia principe del nuovo millennio, il politicamente corretto. Un gruppo di ostetrici e accademici di medicina, provenienti da Stati Uniti, Regno Unito e Australia, ha messo a punto nuove linee guida che modificano i termini correlati alla genitorialità e al parto. Evidentemente hanno avvertito la necessità di eliminare alcune parole reazionarie, tipo mamma e papà: addio al vecchio universo retrogrado e parafascista dove si insinuava che i generi previsti dalla biologia fossero due e che un neonato potesse goderne come natura vuole.

Le linee guida dettate da costoro, moderne, inclusive e politicamente corrette, indicano che la parola “mamma” vada sostituita con un termine tipo “genitore gestazionale”, come se si parlasse di uno strumento che sta avendo a che fare con una gravidanza solo per una serie di accidenti; oppure “persona incinta”, non mamma e tanto meno donna, perché ovviamente può rimanere incinta chiunque lo voglia, chiunque appartenga a uno qualunque degli ottantadue o non so quanti generi previsti dal luogocomunismo woke. Il termine padre fa una fine anche peggiore, perché odora di patriarcato: secondo le illuminate linee guida va sostituito con un incredibile “membro del tuo team di supporto”: cioè una specie di figura burocratica d’appoggio, tra l’altro una fra le tante del “tuo team”. Non è finita: la parola latte materno è anch’essa sessista e machista, e va sostituita con “latte umano”, o “latte del genitore che allatta”, prendendo a calci la biologia, l’anatomia: chi vuole allattare, allatti.

Si tratta di esempi che sembrano un ricalco della neolingua orwelliana di “1984”, nel quale ormai viviamo pienamente: lo dice proprio il quotidiano britannico “Daily Mail”, che ha riportato la spiegazione di questi signori: “l’ostetricia ha il dovere etico e l’opportunità di guidare la decolonizzazione di genere e la giustizia riproduttiva attraverso l’uso di un linguaggio inclusivo”. Dunque, bisogna scrivere una neolingua in nome di questi obiettivi ideologici e supercazzolari: la decolonizzazione di genere è farla finita, attraverso l’uso di un linguaggio inclusivo, con il vecchio concetto binario per cui ci sono due sessi. Viviamo già oggi in un autoritarismo soft: ancora non è visibile il funzionario della polizia sovietica che supervisiona, ma mi aspetto di trovarmelo di fronte da un momento all’altro.


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