Nella destra europea, ma anche americana, manca una componente Milei, tanto che il presidente argentino può essere considerato una felice eccezione. Questo sembra dirci Carlo Lottieri, nel suo affascinante e appassionato articolo comparso su queste colonne. Le virtù incarnate da una figura come Milei sono, agli occhi di Lottieri, essenzialmente tre: il coraggio, la passione per il libero mercato e l’anti-statalismo, il valore morale del liberismo stesso da ricondursi in ultima analisi all’assoluta libertà individuale e all’autonomia morale di ognuno. Proprio quest’ultimo punto fa sì che il libertarismo morale di Milei incroci quella idiosincrisia per il politicamente corretto che è invece, a mio parere, la cifra che accomuna oggi tutto quel magmatico complesso di forze che chiamiamo destra. È su questa avversione, e quindi sulla messa in discussione della mentalità progressista e dell’agenda di parte che ne scaturiva e che pretendeva di porsi come assoluta e indiscutibile, che la destra ha trovato, pur nelle sua diversità interna, una piattaforma comune che l’ha portata a conquistare il consenso un po’ dappertutto di ampie fette di popolazione e di andare anche al governo in alcuni Paesi.
In sostanza, a essere messi in discussione sono stati gli assetti della globalizzazione, i quali avevano una filosofia di riferimento nel globalismo. È su questo terreno che si è giocata la partita degli ultimi anni, che è ancora in corso ed è prima di tutto una “guerra culturale” fra gli “esclusi” e gli “inclusi” nei nuovi assetti di potere (una distinzione che si sovrappone ma solo in parte a quella economica classica fra “poveri” e “ricchi”). Il globalismo, come ho spiegato in altre occasioni, è nato da un patto scellerato che si è di fatto realizzato a un certo punto fra la sinistra liberal o woke e la destra neoliberista della grande finanza e delle multinazionali. Lo intravede chiaramente, d’altronde, lo stesso Lottieri quando parla di “torbidi e corrotti legami tra la politica e le grandi imprese private”. La distinzione che io allora farei è quella fra diversi tipi di liberismo, oltre che di liberalismo. Anche questi nostri amati modelli, messi alla prova nella realtà, rischiano di trasformarsi in teologie politiche, in dottrinarismi astratti, fino a porsi come “verità scientifiche” incontrovertibili. Una “verità scientifica” che, se esistesse, sarebbe per ciò stesso illiberale, perché la libertà nasce proprio nello iato che continuamente si apre fra la scienza e la vita, il pensiero e l’azione, la conoscenza e la politica (purtroppo Luigi Einaudi sbagliava quando diceva che occorre “conoscere per deliberare”, mentre aveva ragione Michael Oakeshott quando diceva che la politica si fa nel buio mentale che in parte accompagna sempre l’azione: una vera lezione di libertà!).
La vita è imprevedibile proprio perché libera. Il liberismo “buono”, quello che ci porta a gridare forte che “non possiamo non dirci liberisti” (oltre che liberali) è proprio quello che esalta la morale a cui si richiama Lottieri. Quello che premia il merito, lo spirito d’intrapresa, il rischio, il coraggio, l’iniziativa dei singoli. E non premia chi vuole vivere di sussidi e prebende a spese degli altri; o, come Lottieri ci insegna, o di quella finzione moderna che chiamiamo Stato. E che agisce di conseguenza. L’attuale governo italiano molto ha fatto in questa direzione, mostrando indubbio coraggio: ha eliminato tanti dei bonus cari a sinistra, e soprattutto il famigerato reddito di cittadinanza su cui i grillini avevano costruito la loro fortuna. È ancora troppo poco, in verità. E in questo senso ci auguriamo che una componente Milei si rafforzi nella destra italiana e sproni ancora di più i nostri leader. È la Storia, ovvero ciò che sono diventati l’Italia e l’Occidente iper-regolati e burocratizzati, a chiedercelo. Non la Scienza.
Sì, ci serve una destra tendenza-Milei. Una destra libera e imprevedibile, come la vita
Corrado Ocone · 16 Luglio 2024
Nella destra europea, ma anche americana, manca una componente Milei, tanto che il presidente argentino può essere considerato una felice eccezione. Questo sembra dirci Carlo Lottieri, nel suo affascinante e appassionato articolo comparso su queste colonne. Le virtù incarnate da una figura come Milei sono, agli occhi di Lottieri, essenzialmente tre: il coraggio, la passione per il libero mercato e l’anti-statalismo, il valore morale del liberismo stesso da ricondursi in ultima analisi all’assoluta libertà individuale e all’autonomia morale di ognuno. Proprio quest’ultimo punto fa sì che il libertarismo morale di Milei incroci quella idiosincrisia per il politicamente corretto che è invece, a mio parere, la cifra che accomuna oggi tutto quel magmatico complesso di forze che chiamiamo destra. È su questa avversione, e quindi sulla messa in discussione della mentalità progressista e dell’agenda di parte che ne scaturiva e che pretendeva di porsi come assoluta e indiscutibile, che la destra ha trovato, pur nelle sua diversità interna, una piattaforma comune che l’ha portata a conquistare il consenso un po’ dappertutto di ampie fette di popolazione e di andare anche al governo in alcuni Paesi.
In sostanza, a essere messi in discussione sono stati gli assetti della globalizzazione, i quali avevano una filosofia di riferimento nel globalismo. È su questo terreno che si è giocata la partita degli ultimi anni, che è ancora in corso ed è prima di tutto una “guerra culturale” fra gli “esclusi” e gli “inclusi” nei nuovi assetti di potere (una distinzione che si sovrappone ma solo in parte a quella economica classica fra “poveri” e “ricchi”). Il globalismo, come ho spiegato in altre occasioni, è nato da un patto scellerato che si è di fatto realizzato a un certo punto fra la sinistra liberal o woke e la destra neoliberista della grande finanza e delle multinazionali. Lo intravede chiaramente, d’altronde, lo stesso Lottieri quando parla di “torbidi e corrotti legami tra la politica e le grandi imprese private”. La distinzione che io allora farei è quella fra diversi tipi di liberismo, oltre che di liberalismo. Anche questi nostri amati modelli, messi alla prova nella realtà, rischiano di trasformarsi in teologie politiche, in dottrinarismi astratti, fino a porsi come “verità scientifiche” incontrovertibili. Una “verità scientifica” che, se esistesse, sarebbe per ciò stesso illiberale, perché la libertà nasce proprio nello iato che continuamente si apre fra la scienza e la vita, il pensiero e l’azione, la conoscenza e la politica (purtroppo Luigi Einaudi sbagliava quando diceva che occorre “conoscere per deliberare”, mentre aveva ragione Michael Oakeshott quando diceva che la politica si fa nel buio mentale che in parte accompagna sempre l’azione: una vera lezione di libertà!).
La vita è imprevedibile proprio perché libera. Il liberismo “buono”, quello che ci porta a gridare forte che “non possiamo non dirci liberisti” (oltre che liberali) è proprio quello che esalta la morale a cui si richiama Lottieri. Quello che premia il merito, lo spirito d’intrapresa, il rischio, il coraggio, l’iniziativa dei singoli. E non premia chi vuole vivere di sussidi e prebende a spese degli altri; o, come Lottieri ci insegna, o di quella finzione moderna che chiamiamo Stato. E che agisce di conseguenza. L’attuale governo italiano molto ha fatto in questa direzione, mostrando indubbio coraggio: ha eliminato tanti dei bonus cari a sinistra, e soprattutto il famigerato reddito di cittadinanza su cui i grillini avevano costruito la loro fortuna. È ancora troppo poco, in verità. E in questo senso ci auguriamo che una componente Milei si rafforzi nella destra italiana e sproni ancora di più i nostri leader. È la Storia, ovvero ciò che sono diventati l’Italia e l’Occidente iper-regolati e burocratizzati, a chiedercelo. Non la Scienza.
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Corrado Ocone
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