Rassegnatevi, il Ventennio ha prodotto grande arte

· 28 Giugno 2024


Nella rubrica “Alta tiratura” di questa settimana, Alessandro Gnocchi ci parla del nuovo libro di Vittorio Sgarbi, “Arte e Fascismo” (La Nave di Teseo, 96 pagine, 15 euro, in libreria dal 2 luglio). Questo libro è un perfetto antidoto alla cancel-culture: il luogo comune che non ci sia stata arte sotto il Fascismo è una enorme sciocchezza, l’arte viene trattata come incompatibile con i regimi totalitari, e così la cultura, se non come sottoprodotto. Questo modo di vedere è stato imposto per decenni dalla sinistra comunista. Ora questa tesi è stata smentita: l’anno di svolta è stato il 2018, con la mostra voluta da Germano Celant alla Fondazione Prada di Milano dal titolo “Post Zang tumb tumb”, dove veniva dipanato un percorso bellissimo di quanto è stato prodotto durante il Ventennio: Malaparte, Prezzolini, Longanesi, Gadda, De Chirico, Depero, Carrà… vette della cultura del Novecento, alcuni hanno convissuto con il regime, altri no. Ma si nota anche come il regime abbia saputo coltivare il dissenso per poterlo controllare, offrendo una valvola di sfogo a chi non era allineato. 

Un altro luogo da visitare è il Mart di Rovereto, dove sono conservati documenti che rivelano la “cancellazione” di artisti e intellettuali di valore. Lo scultore Arturo Martini dopo la fine della guerra andava in giro con in tasca una pistola perché era uno che accettava qualsiasi commessa, e così aveva fatto nel Ventennio. Il regime vedeva di buon grado anche l’istituzione di premi. Due fra i più importanti erano quello di Bergamo, diretto da Giuseppe Bottai, e quello di Cremona, sotto l’ombrello di Roberto Farinacci. Lanciarono personaggi di rilievo come Pina Sacconaghi, Renato di Bosso, Luigi Panarella, Amos Nattini. Chi si ricorda di questi nomi? Non varrà la pena di “disseppellirli”?

Anche l’architettura ebbe un momento di fioritura, con il razionalismo, il linea con l’arte del tempo: esistono piazze ispirate ai quadri di Giorgio De Chirico, e anche città intere, come Sabaudia (amata da Pasolini) o Tresigallo. Lo stesso si può dire per le costruzioni nelle colonie di Etiopia ed Eritrea. Ecco come si cancella la cancel-culture: con la cultura. 


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